Il Commento

Censura, stravolgendo
le parole e la grammatica 

TORONTO – Secondo il Rapporto annuale della Federazione delle società legali in Canada (2017), nel Paese ci sono 127.707 avvocati iscritti all’albo, dei quali 104.497 – pari all’82% – ancora classificati come “attivi”.

Se combinato con circa altri 37.000 paralegali (censimento del 2006), questo numero rappresenta il rapporto di un “esperto in materia legale” ogni 218 canadesi. I servizi da loro offerti mantengono le società “civili” ed il mercato “libero”.

Ma cosa succede quando gli avvocati cercano di mettere a tacere, reprimere l’opinione contraria per favorire il loro cliente ed i tribunali lo consentono, direttamente – secondo i termini dei profani, l’ordine – un certo uso del vocabolario e dei pronomi in un ambiente giudiziario?

I tribunali supremi e provinciali della British Columbia sentenziarono alcune “istruzioni pratiche” che richiedevano alle parti di un contenzioso e/o ai loro avvocati di dichiarare i loro pronomi di genere preferiti, all’inizio di tutti i procedimenti giudiziari. Inoltre, tutti i partecipanti nelle relative aule dei tribunali – compresi i giudici – sono tenuti ad utilizzare quei pronomi preferiti.

Dimenticate la lingua inglese, le regole della grammatica o della biologia. O, del resto, il significato sociale del caso davanti al giudice. O addirittura la percezione che una decisione equilibrata possa essere anticipata nel processo.

L’avvocato Shahdin Farsai è stato l’autore di un parere in materia, intitolato: La prassi da seguire nella British Columbia sui pronomi di genere preferiti in tribunale crea problematiche (per leggerlo: British Columbia’s practice directions on preferred gender pronouns in court are problematic). Lo ha pubblicato il Canadian Lawyer Magazine il 5 febbraio scorso.

Ha scritto: “Le mie antenne, come avvocato, si sono naturalmente drizzate. Ritengo che queste prassi da utilizzare in tribunale siano problematiche per tre ragioni chiave. Sono potenzialmente costretti a utilizzare un vocabolario compromettente in tribunale, a violare i diritti alla privacy e a danneggiare la percezione dell’imparzialità giudiziaria”.

Cosa ha spinto la sua osservazione? Una diciassettenne (minorenne) stava perorando il suo caso davanti al giudice per potersi togliere chirurgicamente il seno perché si sentiva maschio. Suo padre sembrava essere d’accordo. Sua madre era contraria. Da qui l’entrata in scena del Tribunale.

Gli avvocati della ragazza volevano che tutti usassero il pronome ‘lui’, sia come soggetto che come complemento oggetto nella frase. Tatticamente, la ripetizione seguiva la premessa che la figlia della madre potrebbe in realtà essere maschio, nonostante la biologia.

Scoppiò subito una protesta da parte degli avvocati “offesi”, alcuni dei quali includono membri di aziende che si promuovono come specializzati in questioni di “diversità”. Il numero di “offesi” è iniziato da 60 ed è poi cresciuto online a 216 – da considerare su di un totale di 174.000 professionisti disponibili. La rivista ha rimosso l’articolo. Telefonate e messaggi di posta elettronica all’editore ed al direttore dal Corriere Canadese sono rimasti senza risposta. La testata online Canadian Gender Report ha ripubblicato l’articolo. Il suo amministratore è in tribunale contro l’Ottawa District School Board per materiale didattico e pratiche didattiche nei confronti della figlia di sei anni la cui insegnante apparentemente avrebbe detto che le bambine non esistono e che ci sono invece 58 generi.

All’epoca, Kenneth Zucker, un professore di psicologia dello sviluppo specializzato in disforia di genere, ossia il disturbo dell’identità di genere, disse che le incursioni del consiglio scolastico sull’educazione di genere equivalevano ad “un esperimento sociale pedagogico”. Zucker ha detto: “Cosa volete che i bambini capiscano? Come viene valutato? E stanno anche valutando eventuali indicatori di chiamiamoli effetti collaterali avversi di questo tipo di pedagogia?”

Ci sono pochissime prove empiriche per vedere come questi tipi di lezioni educative influenzino i bambini, ha detto Zucker. Il Canadian Gender Report è fortemente contrario all’uso di pratiche forzose e coercitive che tentano di cambiare il modo in cui le persone identificano se stesse e gli altri. (L’enfasi è loro). In risposta al passo indietro del Canadian Lawyer Magazine, il Canadian Gender Report ha pubblicato una lunga lettera di un uomo-trans, operatore sanitario, che afferma: “Sono arrivato a capire quelle concettualizzazioni come distorsioni, finzioni e retorica politica che in realtà danneggiano coloro i quali dovrebbe aiutare”.

Bruce Pardy, professore di diritto alla Queen’s University e membro dell’Advisory Board presso il Justice Centre for Constitutional Freedoms (JCCF), è entrato nel dibattito con un articolo pubblicato sul National Post (9 febbraio), e ripubblicato sul sito web della JCCF. Ha sottolineato che la “prassi da utilizzare in tribunale”, applicabile nelle corti provinciali della B.C., è stata il prodotto della consultazione con la Comunità per l’orientamento sessuale e l’identità di genere (SOGIC) dell’Ordine degli avvocati canadesi (sezione della B.C.). Lasciò la netta impressione che si trattasse di una politica identitaria su mandato statale.

Il Corriere Canadese si schiera con chi concorda sul fatto che “la sicurezza dei bambini debba avere la priorità sull’attivismo politico”. A proposito, diversi avvocati dello studio che consiglia il Toronto Catholic District School Board sono stati firmatari della petizione che ha portato alla rimozione dell’articolo scritto da Shahdin Farsai. Mi viene in mente la metafora della volpe che sorveglia il pollaio.

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