TORONTO - A poco più di nove mesi dalle elezioni, il Canada si avvicina all’appuntamento alle urne tra mille incognite.
La corsa a tre che ha appassionato l’elettorato canadese nel 2015 - con le montagne russe nei sondaggi tra Stephen Harper, Tom Mulcair e Justin Trudeau - sono ormai un lontano ricordo: sondaggi alla mano, in questa tornata elettorale solamente il Partito Liberale e il Partito Conservatore possono nutrire legittime e realistiche speranze di vincere, mentre l’Ndp sembra destinato a recitare la parte del terzo incomodo.
Il dato centrale, fino a questo momento, è che nessuno dei leader dei tre partiti principali sembra aver convinto appieno l’elettorato canadese. Il bilancio del mandato per il primo ministro Trudeau non è negativo, anche se ci sono delle zone d’ombra che potrebbero avere un peso alle urne.
La più evidente è quella dell’immigrazione, un settore nel quale ha regnato il caos sin dai primi vagiti del governo liberale.
Il cambio di ministro, con il passaggio di testimone tra John McCallum e Ahmed Hussen, non ha migliorato la situazione: al contrario, abbiamo assistito a un progressivo deterioramento generale in uno dei settori chiave da un punto di vista economico, demografico e sociale.
Le incongruenze dell’Express Entry non sono state risolte, le contraddizioni di un sistema che in un modo o nell’altro favorisce l’arrivo da determinati Paesi - India, Cina e Filippine - a scapito di altri - Italia su tutti, insieme ad altri Paesi europei - non sono state affrontate dall’esecutivo che ha dovuto fare anche i conti con il caos rifugiati e richiedenti asilo. Un’altra incognita per Trudeau è rappresentata dalle tensioni tra la compagine governativa ed alcune comunità etniche.
Gli italocanadesi, oltre alla discutibile gestione del “file immigrazione ., non nascondono la loro insofferenza per la mancata nomina di un rappresentante di origine italiana al Senato.
La comunità indiana è dilaniata al suo interno da continue tensioni, esplose improvvisamente a Brampton nella vicenda Raj Grewal, e potrebbe spostare un importante serbatoio di voti verso i conservatori. C’è poi il dato regionale che preoc- Conto alla rovescia per il voto federale cupa il primo ministro. All’Ovest regna un malcelato malcontento verso il governo liberale. Il modo con cui Trudeau ha gestito il braccio di ferro tra la British Columbia e l’Alberta - che ha quasi provocato una crisi costituzionale senza precedenti - ha scontentato tutti e gli esiti dello scontro potrebbero tradursi in una fuga generalizzata in B.C. dalla proposta liberale al voto di ottobre. Senza dimenticare che le elezioni provinciali in Ontario e in Quebec hanno lanciato un segnale estremamente negativo per i liberali. Ma sull’altro piatto della bilancia rimangono le confortanti notizie che arrivano dai sondaggi e che vedono il Partito Liberale costantemente in testa.
È stata poi giudicata positivamente la conduzione della trattativa con gli Stati Uniti e con il Messico per il rinnovo del Nafta che ha portato alla firma dell’accordo Usmca. E non si può sottovalutare un ulteriore elemento che fa dormire sonni tranquilli il primo ministro in carica: la relativa debolezza dei suoi due contendenti.
Andrew Scheer è il capo dell’opposizione da quasi un anno e mezzo e fino a questo momento non è mai riuscito a dettare i tempi del dibattito politico.
Al contrario i veri avversari di Trudeau, agli occhi dell’opinione pubblica, sono stati soprattutto alcuni premier provinciali, Doug Ford e Jason Kenney su tutti.
Da questo punto di vista il Partito Conservatore non si è ancora riuscito a liberare dallo spettro di Harper e dalla sua fortissima personalità.
Allo stesso tempo, sono per ora poche le frecce nell’arco dei conservatori da giocarsi durante la campagna elettorale: l’economia canadese continua a crescere, la disoccupazione è ai minimi storici - 5,6 per cento, mai così bassa in 43 anni - la legalizzazione della marijuana, nonostante le apocalittiche previsioni, è arrivata senza eccessivi scossoni. Insomma, non c’è un tallone d’Achille sul quale concentrare gli attacchi.
Un discorso simile si può fare anche per il leader dell’Ndp. Jagmeet Singh addirittura non è ancora entrato in parlamento.
Nei suoi confronti ci sono delle sacche di resistenza anche all’interno del suo partito e anche in questo caso il nuovo leader deve fare i conti con le ingombranti personalità di chi lo ha preceduto, Mulcair e soprattutto Jack Layton.
I sondaggi inchiodano il partito sotto il 15 per cento, lontano anni luce da quella onda arancione che travolse il Paese nel 2011. Tirando le somme, ci stiamo avvicinando all’inizio della campagna elettorale con molte incognite e poche certezze
Uno spartiacque sarà rappresentato dalla presentazione del budget in primavera, una Finanziaria elettorale come è giusto che sia. Da quel momento in poi, inizierà veramente la battaglia per la conquista della maggioranza alle elezioni.