Di Sanzo: “Difesa dei diritti
degli italiani all’estero”

TORONTO – Riacquisto della cittadinanza per chi l’ha persa prima del 1992, riforma dei servizi consolari, difesa del Made in Italy, valorizzazione delle comunità italiane all’estero, tutela dei diritti degli italiani che vivono oltreconfine. Con l’obiettivo dichiarato di avanzare proposte innovative per contribuire a rendere l’Italia un Paese più moderno. Sono questi alcuni punti centrali della piattaforma programmatica presentata da Christian Di Sanzo durante un’intervista concessa al Corriere Canadese. Presidente del Comites di Houston, ingegnere e consulente nel settore dell’energia per McKinsey&Co, Di Sanzo è capolista del Partito Democratico nella corsa a Montecitorio per la ripartizione Nord e Centro America.

“È una campagna elettorale – dichiara – in cui siamo stati lanciati in un frullatore per poche settimane, perché nessuno si aspettava che sarebbe caduto il governo, così la preparazione come candidato come volevo ha subito un’accelerazione. Di conseguenza i tempi stretti della campagna elettorale non mi permettono di poter viaggiare tutto il Nord e Centro America come avrei volute. Si devono selezionare alcune città da visitare e si usano tanto i social media. Sta andando bene, ogni giorno abbiamo chiamate da tutta la ripartizione. C’è un costante contatto con gli elettori”.

Lei è il presidente del Comites di Houston. Come pensa di portare questa esperienza nella campagna elettorale ed eventualmente a Montecitorio?
“È un’esperienza molto significativa. Houston ha avuto una storia particolare, il Comites prima della mia presidenza era stato commissariato per due anni. Situazione questa abbastanza diffusa in altre città. Abbiamo cercato di trasformare il Comites in un servizio per la comunità puntando sull’informazione. I temi sono tanti, dall’iscrizione all’Aire ai servizi consolari, la gente cerca un punto d’appoggio anche solo per informarsi e soprattutto un servizio all’integrazione per i nuovi arrivati. Abbiamo cercato di colmare il gap tra la nuova e la vecchia immigrazione. Ci siamo focalizzati su questo, abbiamo un sito internet che è diventato un hub per le informazioni – e questo era uno dei miei scopi. Abbiamo organizzato degli eventi per la comunità. I Comites devono essere un’antenna che collega gli italiani residenti all’estero all’Italia e viceversa. La risposta è stata molto apprezzata dalla comunità e questa esperienza voglio portarla con la mia candidatura: per dare un servizio alla comunità, per migliorare i servizi per i cittadini e informarli. Questi obiettivi sono stati un po’ la molla della mia candidatura. Abbiamo anche la possibilità di dire qualcosa all’Italia come cittadini che vivono all’estero, portando la nostra voce per rendere il Paese più moderno. Portiamo le nostre esperienza, ognuno ha la sua esperienza di cittadino globale, cittadino del mondo e possiamo dare un contributo, oltre aiutare i nostri cittadini all’estero”.

Anche in questa campagna elettorale uno dei temi chiave rimane quello del riacquisto della cittadinanza.
“È un dibattito vivo. Una grossa percentuale di telefonate che ricevo è sul riacquisto della cittadinanza. Che sia un tema sentito me lo dice l’esperienza. L’ideale sarebbe cambiare questa legge, che non fa più parte di quella che concepiamo come la realtà di oggi. Oggi questo problema non esiste più. In passato si doveva prendere la cittadinanza del nuovo Paese per essere integrato e si doveva rinunciare a quella italiana. Si è creata questa disparità che non ha più senso. L’ideale è fare tutti gli sforzi possibili per cambiarla. Se questo non sarà possibile, allora dobbiamo focalizzarci su altre soluzioni. Oggi la legge consente il riacquisto della cittadinanza con il trasferimento e la residenza in Italia per un anno. Una soluzione potrebbe essere abbreviare la residenza a tre mesi, per esempio, oppure percorrere altre strade che ci permettano di raggiungere lo stesso obiettivo in maniera più snella. Ci sono delle aree in cui possiamo agire con delle soluzioni concrete per risolvere questo problema ormai bloccato da troppi anni”.

Un altro nodo da sciogliere è quello della copertura sanitaria per gli italiani residenti all’estero in visita nel Belpaese.
“Ho proposto un ticket sanitario per gli italiani residenti all’estero, un’assicurazione su base annua che si può rinnovare se si torna in Italia. Oggi esiste già una misura simile per gli studenti stranieri che risiedono in Italia. Non hanno reddito, pagano una quota minima per iscriversi al servizio sanitario nazionale. Per chi risiede all’estero potrebbe essere una soluzione. Capisco che la completa gratuità possa essere un problema perché non paghiamo le tasse in Italia, ma ci possono essere soluzioni concrete. Io porto la mia esperienza da manager, da persona che ha sempre fatto analisi anche sui numeri per cercare di trovare soluzioni pragmatiche e concrete”.

In questa ottica potrebbe anche rientrare la riforma di alcuni servizi consolari?
“Ho cercato di individuare step e problemi molto concreti. Da un parte abbiamo il problema della mancanza di personale. Dall’altra ci sono delle procedure da snellire, da sburocratizzare con riforme di legge che possano avere un impatto concreto e che diminuiscano la mole di lavoro per i consolati. In parlamento possiamo trovarci tutti d’accordo. Ad esempio l’iscrizione all’Aire che rimane un problema di comunicazione tra consolato e Comuni, c’è un rimpallo continuo. Facciamo allora un registro unico che venga affidato ai consolati. L’iscrizione parte subito e si ha il diritto di voto, tagliando questo legame con il Comune di residenza in Italia. Anche i piccoli Comuni italiani, che sono migliaia, hanno problemi di staff. In Italia abbiamo fatto una riforma buona sull’identità digitale, lo Spid, che in teoria ci darebbe accesso a una serie di servizi. Ma è molto difficile ottenerlo. Io stesso non ho lo Spid perché ci vuole il passaporto e il tesserino del codice fiscale nuovo, io ho quello vecchio che non è valido. Perché non si può fare solo con il passaporto? C’è già nella procedura dello Spid una video intervista: quale altro bisogno deve esserci solo per rispettare una procedura burocratica? Poi ci sono altri problemi come il riconoscimento delle patenti. Battaglia portata avanti a più riprese, qui si tratta di svegliare anche il governo italiano, perché il problema è avvertito in Canada e negli Stati Uniti. Qui la Germania e la Francia sono molto più avanti di noi: negli Usa questi due Paesi hanno numerosi accordi. Su questo fronte l’Italia è indietro, in passato è mancata la volontà politica del governo”.

L’impossibilità di avere la carta di identità elettronica è l’ennesima nota dolente.
“Le dirò di più. Se un residente all’estero torna in Italia e prova a ottenere la carta d’identità elettronica al suo Comune, non potrà riceverla. Io avevo la carta d’identità elettronica, una delle prime. Quando l’ho rinnovata come cittadino italiano residente all’estero l’ho ottenuta solamente nella sua forma cartacea. La motivazione: per i residenti all’estero non sanno dove spedirla. Se un residente all’estero è in Italia in vacanza deve poterla ottenere senza troppi problemi. Il passo successivo è quello di abilitare tutti i consolati al rilascio della la carta d’identità elettronica. Dobbiamo stare al passo con i tempi, il documento di identità di carta è una cosa che non è quasi più accettabile a livello mondiale”.

Nel suo programma uno dei temi centrali è quello della difesa e della promozione del Made in Italy.
“Chi viene eletto all’estero ha anche il grande compito di diventare un ambasciatore del Made in Italy e un ambasciatore della comunità che lo ha eletto, perché si possono fare moltissime iniziative nel territorio dove si è eletti che non dipendono dal parlamento. Partiamo da un fatto: sia in Canada che negli Stati Uniti esistono numerosissime realtà imprenditoriali italiane e come parlamentare si dovrebbe avere la responsabilità di coordinare e valorizzare. I vari enti che abbiamo oggi – Istituto per il turismo all’estero, le camere di commercio estero e via dicendo – provano a fare iniziative ma spesso mancano di coordinamento: il parlamentare può usare la sua forza per trovare sinergie effettive che portino a una sponsorizzazione più efficace del Made in Italy”.

Con la riforma costituzionale che ha portato alla riduzione del numero dei parlamentari, c’è anche stato un taglio degli eletti all’estero, che passano da 18 a 12. Ne risentiremo, anche a livello di potenziale collaborazione che vada oltre le divisioni partitiche?
“Dispiace che il numero degli eletti all’estero sia stato ridotto, anche se nella nostra ripartizione avremo ancora un senatore e due deputati. Ho parlato più volte con parlamentari eletti all’estero di altri partiti: dobbiamo collaborare, dobbiamo andare in quella direzione, perché molti problemi che affrontiamo sono di fatto bipartisan. Molti punti sono in comune a livello dei partiti. Partiamo da questo: non capisco come non si possano proporre progetti di legge condivisi, invece di pensare al partito prima. Country before party, come spesso si dice nei Paesi anglosassoni. Ricordiamocelo”.

Esiste o meno la necessità di riportare la figura del ministro per gli Italiani all’Estero?
“La figura in sé non è negativa. Ma il punto non è avere questa figura o meno, il punto è quanto sia effettiva la voce degli italiani all’estero dentro il governo. Questo è il punto chiave perché se a svolgere quella funzione è anche un sottosegretario, l’importante è che quel sottosegretario, conosca la realtà degli italiani all’estero e delle comunità. L’ultimo sottosegretario non era una persona che conosceva queste esigenze”.

Imprese e ricerca restano due sfide da vincere per gli italiani residenti all’estero.
“Partiamo da un punto. È più facile fare impresa in questa ripartizione, creare impresa in nord e Centro America rispetta all’Italia. Credo che come italiani all’estero possiamo dire e fare molto quando siamo in parlamentato e queste sono anche le mie competenze, le mie professionalità che vorrei portare non solo al servizio degli italiani all’estero ma al servizio dell’Italia. Ho un’idea duplice della mia missione. Fare impresa qua e fare ricerca è diverso, possiamo creare sinergie che vadano a beneficio di entrambi i paesi, da una parte la ricerca dove noi ancora non ragioniamo come Sistema paese ma continuiamo a ragionare con accordi delle single università con università nordamericane, mentre la Francia ha stabilito accordi che partono a livello di paese con specifiche realtà. Io per esempio ho fatto il mio dottorato a Berkely e li c’è un programma che si chiama France Berkey. Ho studiato anche al Mit dove c’è il France Mit perché la Francia è riuscita a siglare accordi che beneficiano tutto il paese, l’Italia invece continua a fare accordi a livello delle singole università. Un accordo a livello di Paese darebbe beneficio sia all’Italia sia ai nostri ricercatori che potrebbero accedere a fondi. L’altra cosa si può ragionare sin termini di imprese su come poter aiutare le nostre realtà qui all’estero attraverso accordi che permettano l’internazionalizzazione delle imprese e l’apertura per le imprese nordamericane di filiali in Italia”.

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