Trump definisce il Canada per i canadesi
TORONTO – Da quando mi sono appassionato agli individui ed alle culture che si sono adattati alle visioni emergenti, siano esse organiche o importate, della metà settentrionale del Nord America, non riesco a ricordare un momento della storia canadese in cui una singola figura politica sia diventata così dominante e invadente negli affari del “nostro Paese”. Essendo questo un articolo di opinione nel genere delle recensioni di fine anno, ciò che segue è destinato a offendere qualcuno. Potreste essere sorpresi, ma sto parlando del presidente D. Trump.
Con un pizzico di ironia, penso che i canadesi siano stati meno che generosi nel riconoscere le iniziative di “grande costruzione della nazione” che egli ha altruisticamente contribuito a consolidare nel progetto storico che chiamiamo Canada. Il nostro è un vasto territorio, più grande sia dell’Europa che degli Stati Uniti, ma con una popolazione pari a un decimo (10%) della loro, amministrata [in modo approssimativo] secondo modelli di governance storici che riflettono società lontane, le cui esperienze si sono sviluppate nel corso di millenni.
A questo umile servitore sembra che la nostra storia non sia altro che segnata dal tentativo di commercializzare l’enorme potenziale economico insito nella ricchezza naturale che pochi paesi possono eguagliare: legname, minerali, energia idroelettrica, petrolio e gas naturale, pesca, estensioni agricole, lavorazione della carne… Deve pur “valere qualcosa per qualcuno”.
Qui non c’è mai stata carenza di spirito imprenditoriale, ma solo la domanda: “come si acquisiscono i diritti e il controllo della capitalizzazione di questa ricchezza?” A seconda dell’epoca e del grado di industrializzazione, della domanda e dell’accesso ai mercati, i leader dell’epoca hanno optato “assicurarsi i diritti” tramite acquisti diretti (accordi di compravendita con i popoli indigeni o con chi rivendicava l’esclusività, Hudson’s Bay Co. / [Prince] Rupert’s Lands).
I canadesi (“sudditi britannici” fino al 1949) fecero tutto il possibile per sviluppare condizioni che stimolassero i legami commerciali con “clienti preferenziali”, reali o desiderati, con… avete indovinato, dazi preferenziali per favorire la direzione del commercio, Est-Ovest (dalla British Columbia alle Province Marittime) e transatlantico (verso la Gran Bretagna). Le politiche di trasporto e immigrazione furono sviluppate per assecondare questo fino a quando l’Accordo di Libero Scambio Canada-USA del 1988-89 e l’Accordo di Libero Scambio Nordamericano del 1993, che includeva il Messico, garantirono di fatto che l’economia canadese continuasse a svilupparsi come una partnership continentale.
Le relazioni Nord-Sud non furono più ostacolate, ma coltivate, come lo erano state quelle transatlantiche. Il Canada rimase dipendente dal commercio: secondo i dati di Statistics Canada, nel 2024 il 66% del suo PIL derivava dal commercio, e il 70% di questo con gli USA (tutti i dati arrotondati). Peggio ancora, rimanemmo esportatori di materie prime e importatori di prodotti finiti e pronti per il consumatore. La nostra struttura di governo federale iniziò a sottolineare i diritti provinciali – che erano sempre esistiti – a scapito di poteri “nazionali” più ampi esercitati da un’autorità trans-provinciale.
Donald Trump se n’è reso conto dal momento in cui un ex primo ministro canadese ha chiesto di incontrare il neo-eletto, ma non ancora ufficialmente insediato, presidente, nel novembre 2024. Da allora ha messo alla prova il sistema, forse perché i punti di pressione hanno fatto sì che il nostro Paese raddoppiasse le spese per la Difesa durante l’anno fiscale in corso, e le raddoppi ulteriormente entro il 2030, quando è previsto che spenderemo oltre 100 miliardi di dollari all’anno per mantenere forze armate che non possiamo né mobilitare né equipaggiare.
Se le nostre priorità sembrano essere “costantemente messe alla prova”, potrebbe essere perché Trump ha deciso di parlare con i “baroni locali” piuttosto che cercare un accordo con il nostro rappresentante nazionale. Alcuni canadesi – “provincialisti”, a mio avviso – sembrano preferire che sia così.
Traduzione in Italiano dall’originale in Inglese a cura di Marzio Pelù
Foto: Twitter X – White House

