Cultura

Storico trattato cinematografico tra Stati Uniti e Italia

TORONTO – Poco più di due settimane fa, Donald Trump ha dichiarato sul suo account Truth Social di voler “tornare a fare film in America”, aggiungendo che “l’industria cinematografica americana sta morendo molto rapidamente”. Ha ribadito con enfasi il suo punto di vista con la sua iperbole trumpiana, affermando che altri Paesi stanno attirando intenzionalmente registi americani e i loro talenti lontano dagli Stati Uniti. Lo fanno ovviamente con maggiori incentivi fiscali e, secondo Trump, ciò rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale.

Trump associa evidentemente lo spettacolo a “messaggi e propaganda”. “Date loro panem et circenses, e non si ribelleranno mai”, scrisse il satirico romano Giovenale, evidenziando i metodi accurati e collaudati utilizzati per placare l’opinione pubblica. Giovenale, ovviamente, aveva una vasta conoscenza della questione, avendo vissuto sotto imperatori sia “buoni” che “cattivi” come Domiziano e Adriano.

E mentre i detrattori di Trump vorrebbero sicuramente paragonarlo al crudele e spietato autocrate Domiziano, o allo stravagante e depravato Eliogabalo, come ha proposto la storica britannica Mary Beard, il suo approccio è probabilmente più in linea con quello di Giulio Cesare. Cesare era il populista per eccellenza, la cui eccessiva influenza esecutiva rappresentava una minaccia per le principali istituzioni romane. Una minaccia tale che i suoi cospiratori lo pugnalarono 23 volte in un atto che consideravano un “tirannicidio”.
Attingere a queste figure storiche potrebbe far luce sul perché Trump stia minacciando di imporre pesanti dazi sui film realizzati al di fuori degli Stati Uniti. Lo spettacolo ha contribuito a consolidare il predominio culturale americano negli ultimi 70 anni, e il “circo” americano, ovvero film e musica, ha sostenuto l’influenza degli Stati Uniti all’estero. Il suo istinto è corretto. La percezione di un “Impero” americano è indissolubilmente legata al suo show-business.

E quanto è appropriato che i nuovi “ambasciatori di Hollywood” di Trump, Mel Gibson, Sylvester Stallone e Jon Voight, stiano pianificando di annunciare il loro primo trattato di coproduzione estera con l’Italia ad agosto. Mentre l’Italia ha 37 trattati bilaterali di coproduzione con altri Paesi, gli Stati Uniti non ne hanno nessuno. Il Canada, al contrario, ne ha di più, 60.

Il produttore italiano Andrea Iervolino ha recentemente annunciato che alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno si terranno dei colloqui con i “rappresentanti più autorevoli [in Italia e negli Stati Uniti]”. Inoltre, il trattato proposto è concepito per “servire da progetto pilota per lo sviluppo di trattati simili tra gli Stati Uniti e tutti gli altri Paesi del mondo”.

I produttori italiani saranno “incoraggiati ​​a realizzare film italiani negli Stati Uniti, coinvolgendo star americane e quindi investendo negli Stati Uniti”. A sua volta, il governo italiano dovrà creare “programmi di sostegno” per progetti che rafforzino i legami culturali tra i due Paesi.

Iervolino: “Il mondo deve riconoscere che l’industria dell’intrattenimento americana è sempre stata leader a livello globale: rimane il principale punto di riferimento, in grado di dettare le regole del settore a livello mondiale”. In un mondo in cui la “coincidenza” è mera illusione, non mi sfugge che gli imperi attuali e passati si stiano scontrando per uno storico trattato cinematografico. Due nazioni che cercano disperatamente di tornare grandi stanno investendo nel cinema e nella televisione.

Nelle immagini: un collage cinematografico (foto per gentile concessione di Stavros Marantos) e il presidente Usa Donald Trump, Sylvester Stallone, Mel Gibson e Jon Voight 

Massimo Volpe, autore di questo articolo, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix

 

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