TORONTO - A San Siro non troviamo mai il gol. Un anno fu 0-0 e byebye mondiale. Sabato è stato 0-0 e bye-by Final Four.
Quello che scotta di più è che a mettere in croce l’Italia è stata prima la Svezia e poi il Portogallo, squadre decenti ma non di prima bacchetta. Allora, come sabato, i meriti del Portogallo sono finiti dove cominciano a i demeriti dell’Italia.
Hai voglia a dire che la brigata azzurra sta sul punto di ridiventare grande: piccola è, anche fisicamente, e piccola rimane. Hai voglia a dire che Mancini ha trovato la soluzione con il doppio play (Verratti e Jorginho) a sostegno dell’attacco.
Nella circostanza l’attacco era composto da un solo elemento, Immobile. Il Ciro laziale in nazionale sta dimostrando di essere come lo fu lo stesso Roberto Mancini. Entrambi forti nel proprio club, entrambi incapaci di cavare un ragno dal buco in nazionale.
Se Immobile avesse messo dentro almeno una delle due colossali palle gol, se Chiesa avesse centrato a sua volta la porta nell’unico pallone giocabile che ha avuto, oggi tutti a riversare baci e abbracci sulla Nazionale. Ma quelle occasioni fallite sono pallidi alibi, scusanti senza peso e sostanza.
La realtà è che il gioco tic-toc-tacchete inventato da Guardiola e copiato da Sarri nell’Italia attuale non funziona. Giocare in verticale è noioso e controproducente.
Anche il celebrato Sarri ha raccolto ben poco nel Napoli perché non aveva più un bomber d’area capace di finalizzare le azioni, o almeno aprire le difese per favorire gli inserimenti da dietro.
Contro il Portogallo, che era senza il Cristiano più famoso del mondo pallonaro, gli azzurri, specialmente nel primo tempo, hanno dominato senza costrutto. Nel senso che eseguivano 4/5 passaggi di seguito - avanti, indietro, di fianco, e poi ancora così - una ragnatela lenta che faceva avanzare si e no di cinque metri.
Nel frattempo gli avversari si chiudevano al limite e quella zona diventata una selva di gambe e corpi dove finanche Cristiano Ronaldo non avrebbe trovato spazi, figurarsi Insigne. Anche Lorenzino, come Immobile, in Nazionale rende poco.
Si è visto soltanto quando ha sferrato un bel tiro, sul quale Immobile si è mangiato la botta a rete, e per lo più ha fatto il terzo play, visto che era sempre nei pressi di Verratti e Jorginho. Inoltre, nel periodo migliore, il tic-tocchete-tacchete degli azzurri avveniva sempre in pochi metri sul fronte sinistro dell’attacco, mentre sarebbe stato quantomeno opportuno allargare il gioco sulla destra dove Chiesa smaniava senza vedere un pallone.
E ora? Ora proveremo a “spezzare la schiena” agli Stati Uniti nell’amichevole di domani. L’eventuale vittoria non conterà un tubo.
E se Mancini farà giocare qualcuno degli illustri ignoti convocati, si dirà che abbiamo il materiale umano per la cosiddetta rinascita.
Soltanto che, purtroppo, con i giocatori che abbiamo oggi, la rinascita della nazionale è un sogno perché i nostri non hanno il fisico e l’attitudine mentale per correre piede a tavoletta per 90 minuti.
Per rinascere la nazionale deve tornare a fare quello che sappiamo fare e che è nel nostro DNA: catenaccio e contropiede. Giocando così abbiamo vinto due mondiali. Cercando di imitare le nazionali che prediligono l’attacco alla difesa non ci è mai andata bene. Nel 2010, in Sudafrica, siamo usciti al primo turno del mondiale, nel 2014, in Brasile, idem con patate. Quest’anno la Russia l’abbiamo vista in cartolina.
Ora, escluso dalle Final Four, abbiamo messo a rischio anche la qualificazione ai prossimi europei.
Rai, Rai ahi, ahi... io a casa ho il sistema Dzan che mi ha permesso di seguire la partita su Rai 1 che l’ha trasmessa in chiaro soltanto in Italia continuando a sbattersene di tutto il resto del mondo.