TORONTO - Un popolo di immigrati che si scopre favorevole a un giro di vite del governo sugli arrivi dall’estero. È questo il paradosso che emerge dall’ultimo sondaggio realizzato dalla Angus Reid che fotografa la percezione dei canadesi sulle politiche migratori del governo federale. Nello studio statistico, realizzato su un campione di 1.500 canadesi, emerge come circa la metà degli intervistati - il 48 per cento - si dichiari favorevole a un calo del numero di immigrati che vengono accolti nel nostro Paese. Il 31 per cento degli intervistati, ritiene che le quote attuali debbano rimanere invariate, mentre solo il 6 per cento vorrebbe un aumento degli arrivi. Come viene riportato dal National Post, il sondaggio della Angus Reid viene abbinato a simili indagini statistiche effettuate in passato da altri due istituti, Harris/ Decima a Gallup, per rilevare i mutamenti delle tendenze della popolazione sul fronte immigrazione. Così facendo si scopre che appena quattro anni fa, nel 2014, solamente il 36 per cento della popolazione chiedeva politiche più restrittive sugli immigrati, mentre la maggioranza relativa degli intervistati si riteneva soddisfatto delle quote stabilite da Ottawa sugli arrivi annuali.
Nel 2000, a chiedere il giro di vite era un canadese su tre - 33 per cento - mentre il 17 per cento degli intervistati riteneva troppo basso il numero degli arrivi. Nello studio si sottolinea come dal 1975 ad oggi - con qualche eccezione - la quota fissata dal governo degli arrivi sia corrisposta a una cifra compresa tra lo 0,5 per cento e l’1 per cento della popolazione. E se nel 2014 gli arrivi programmati erano circa 260mila l’anno, oggi questo numero è salito a 310mila. Ma come si spiega questo progressivo aumento di chi chiede maggiori restrizioni verso l’immigrazione? Lo studio conferma come anche in passato ci sia stato uno “zoccolo duro” della popolazione che non vedeva troppo favorevolmente l’apertura delle frontiere. Nel 1975 circa il 39 per cento dei canadesi chiedeva di abbassare le quote del governo, nel 1980 il 41 per cento, nel 1987 il 42 per cento. Non si tratta affatto di un fenomeno nuovo, al contrario è sempre stato presente. È ragionevole pensare che il tira e molla degli ultimi mesi su un altro fronte parallelo a quello migratorio, la vicenda cioè legata agli arrivi dei richiedenti asilo dagli Stati Uniti, abbia avuto il suo peso nei risultati finali del sondaggio. Tanto è vero che a livello locale, le due Province che si oppongono di meno all’aumento dei livelli migratori sono British Columbia e Manitoba dove l’arrivo dei rifugiati il Quebec non ha avuto alcun peso mentre è in Ontario dove l’opposizione alla crescita della quota è maggiore in termini numerici e più radicata. Ma anche la suddivisione partitica ci può aiutare. Secondo i risultati del sondaggio, circa il 67 per cento di chi ha votato per il Partito Conservatore alle ultime elezioni ritiene eccessivamente alta la quota governativa di nuovi arrivi fissata a 310mila nuovi immigrati. All’interno dello stesso partito, appena il 22 per cento ritiene che i numeri decisi dal governo siano accettabili, mentre solo il 2 per cento ritiene che la cifra andrebbe aumentata. Discorso diverso per chi invece nel 2015 ha votato per il Partito Liberale. La maggioranza degli elettori grit - il 41 per cento - pensa che la quota sia giusta, il 39 per cento pensa che debba essere abbassata mentre il 10 per cento vorrebbe un aumento. Cifre che rispecchiano anche le tendenze all’interno dell’elettorato neodemocratico, dove il 35 per cento del campione di dice d’accordo con gli attuali livelli, il 39 per cento li ritiene troppo alti e l’11 per cento troppo bassi. Seppur con evidenti differenze in termini generali, lo studio mette in risalto come all’interno dei partiti di centrosinistra ci sia stato un cambiamento della percezione nei confronti dell’immigrazione e degli immigrati. Una tendenza questa che - con le dovute proporzioni, visto il contesto diverso e il radicato clima d’emergenza percepito - si è registrata anche in Italia alle ultime elezioni del 4 marzo, dove ad essere premiati sono stati tutti quei partiti che hanno espresso posizioni anti-immigrazione come la Lega di Matteo Salvini e il Movimento Cinque Stelle di Luigi Di Maio. Ma a complicare ulteriormente la situazione in Canada è anche un altro fenomeno legato all’immigrazione, quello dei lavoratori stranieri senza documenti. Si tratta di immigrati giunti in Canada regolarmente, con un regolare permesso di lavoro o di soggiorno e che sono rimasti anche dopo la scadenza del visto. Il numero è ovviamente molto difficile da quantificare, ma stiamo parlando di cifre elevatissime che riguardano numerosi settori chiave dell’economia dell’Ontario e del Canada, a partire da quella edile. Negli ultimi anni si è sviluppato un movimento, che sta raggiungendo una massa critica, che chiede l’attivazione di un percorso politico- legislativo che porti alla regolarizzazione dei “sans papier” canadesi. E c’è chi sostiene che prima di aprire ulteriormente le porte a chi arriva dall’estero, si dovrebbe valorizzare quella che potrebbe essere una risorsa già presente, con persone che ormai si sono pienamente integrate alla società canadese. Ma è chiaro che questo movimento - come è successo nell’America trumpiana - abbia come controindicazione il rafforzamento di sentimenti anti-immigrati generalizzati, di chi non fa distinzione e mette tutto e tutti dentro lo stesso calderone: immigrati e migranti, profughi e richiedenti asilo, lavoratori senza documenti e clandestini, illegali e stranieri. Il sondaggio della Angus Reid riesce ad afferrare, almeno in parte, questi complessi stati d’animo collettivi, senza peraltro fornire una spiegazione esaustiva sul come una popolazione costituita da immigrati, figli di immigrati e nipoti di immigrati, si sia scoperta all’improvviso un pochino più intollerante e meno accogliente di quanto si ritenesse.