TORONTO - Nel calcio quando una squadra inizia la stagione per vincere il campionato e fallisce il suo obiettivo, l’allenatore viene messo in discussione. E la panchina diventa sempre più traballante se il team avversario che conquista lo scudetto è falcidiato da infortuni, non è composto da stelle di primo piano ma da semplici comprimari e se è guidato da un coach che negli anni precedenti non ha mostrato particolari qualità.
In politica quasi sempre succede lo stesso.
Andrew Scheer, per varie ragioni, era il favorito per la vittoria alle urne. In testa nei sondaggi sin dalla scorsa primavera, il leader conservatore si è trovato in un contesto estremamente favorevole, anche grazie agli elementi contingenti che hanno accompagnato e caratterizzato la campagna elettorale del suo principale avversario, il primo ministro uscente Justin Trudeau: lo spettro dello scandalo SNC Lavalin, la sciagurata vicenda “blackface- brownface”, il malcontento generalizzato verso il leader del Partito Liberale, la campagna di logoramento fatta dai premier conservatori - Jason Kenney in primis - contro il governo grit.
Scheer non è riuscito a capitalizzare questo vantaggio regalatogli dalle disavventure del suo avversario e ha perso le elezioni. Fatta questa lunga premessa, è del tutto fisiologico che all’interno del Partito Conservatore ci sia qualcuno che nutra dei dubbi legittimi sulla leadership dell’ex Speaker della House of Commons.
Negli ultimi 10 giorni, dopo la sconfitta alle urne elettorali, si sono moltiplicate le voci di chi chiede la testa del leader: dall’ex leader del Progressive Conservative dell’Ontario Parick Brown a una pletora di ex deputati federali tory che imputano la responsabilità della sconfitta agli errori commessi da Scheer durante la campagna elettorale.
Nelle ultime ventiquattrore è uscito allo scoperto anche l’ex ministro della Difesa Peter MacKay, che ha criticato a muso duro l’ex collega parlamentare: “It was like having a breakaway on an open net and missing the net”, che in italiano - sempre usando un’analogia sportiva - si potrebbe tradurre come “ha sbagliato un gol a porta vuota”.
MacKay poi ha fatto retromarcia su Twitter, dicendo di voler continuare a sostenere Scheer anche nell’immediato futuro. Eppure quello dell’ex ministro appare un segnale ben chiaro, un posare la prima pietra di un progetto a media scadenza che arriverà alla convention conservatrice di aprile.
Qui il partito dovrà decidere se concedere ancora una volta la propria fiducia al leader battuto da Trudeau o se invece - come accadde all’Ndp nel 2015, quando Tom Mulcair venne defenestrato dopo il flop elettorale - voltare pagina affidandosi a un nuovo capo.
In questo contesto è da tenere d’occhio Jason Kenney. Il premier dell’Alberta, dopo aver attaccato Trudeau per tutta la campagna elettorale, dopo il 21 ottobre ha assunto un tono più istituzionale e collaborativo. All’interno della variopinta galassia conservatrice, l’ex ministro dell’Immigrazione potrebbe essere un candidato di peso nella corsa alla leadership, nel caso in cui il partito non sappia metabolizzare in questi mesi le tossine provocate dalla sconfitta alle urne.
Anche perché Kenney non sarebbe semplicemente un contendente con esperienza, peso e carisma politico, ma potrebbe diventare - in realtà lo è già - la voce del Canada dell’Ovest, quella sterminata regione composta da Alberta, Saskatchewan, Manitoba e in parte British Columbia che ha già voltato le spalle a Trudeau.