Burkina Faso, trovato morto un canadese

di corriere canadese del 18 January 2019

SIEGA - È del cittadino canadese rapito martedì sera in Burkina Faso il corpo senza vita che è stato ritrovato con segni di ferite d’arma da fuoco. Lo conferma un portavoce del ministero della Sicurezza del Burkina Faso.

Kirk Woodman, questo il nome dell’uomo, lavorava per la società mineraria canadese Progress Minerals ed era stato rapito martedì sera nel sito di Tiabangou, vicino alla frontiera con il Niger, da un gruppo armato che era poi fuggito proprio in direzione del Niger.

Il cadavere è stato trovato a Siega, nella provincia di Soum, nel nord del Paese, non lontano dal Niger, teatro di frequenti attacchi jihadisti e di rapimenti di cittadini stranieri.

"Il corpo è stato scoperto da alcuni residenti, che hanno allertato le forze dell’ordine", ha spiegato una fonte della sicurezza ad Afp, aggiungendo che una prima analisi è stata effettuata a Gorom-Gorom, prima del trasferimento nell’obitorio dell’ospedale di Dori.

"Non c’era nessun documento di identificazione né nessun cellulare che consentissero l’identificazione sul posto", ha aggiunto la fonte.

A questo punto aumentano i timori per,il 30enne italiano Luca Tacchetto e la 34enne canadese Edith Blais, scomparsi in Burkina Faso a metà dicembre, durante un viaggio da Bobo-Dioulasso a Ouagadougou.

Nell’ultimo messaggio vocale di 48 secondi arrivato agli amici, Tacchetto parlava dell’intenzione di non andare direttamente dal Burkina Faso al Togo, ma di procurarsi un visto per poi fare un giro più lungo attraverso Costa D’Avorio e Benin e tornare solo dopo in Burkina.

L’elenco di sequestri, si diceva, è piuttosto lungo e con esiti spesso diversi. Secondo un conteggio di AFP, sono otto gli stranieri rapiti nel Paese negli ultimi quattro anni.

A settembre del 2018 un indiano e un sudafricano che lavoravano nel settore minerario erano stati rapiti nella miniera d’oro di Inata, nel nordovest del Paese.

A gennaio del 2016 una coppia australiana fu sequestrata a Djibo: si trattava del dottor Kenneth Elliot, che dirigeva una clinica da diversi anni, e della moglie Jocelyn; lui fu liberato dopo un anno, mentre la moglie resta prigioniera.

Un romeno, Iulian Ghergut, che lavorava per l’enorme miniera di manganese di Tambao, nel nord, è ancora in mano ai jihadisti da quando è stato rapito ad aprile del 2015.

Il Burkina Faso si trova nel cuore della vasta regione del Sahel, che sta lottando contro una sanguinosa insorgenza islamista.

I raid dei jihadisti sono cominciati nel nord del Burkina Faso nel 2015 prima di diffondersi nell’est del Paese, vicino al confi ne con Togo e Benin.

La maggior parte degli attacchi sono stati attribuiti ad Ansarul Islam e al Gruppo per sostenere islam e musulmani (Jnim).

Sono attivi in Burkina Faso anche gruppi più piccoli, con un numero complessivo di combattenti stimato nell’ordine delle centinaia, secondo fonti di sicurezza.

Si ritiene che dal 2015 i gruppi siano stati responsabili di oltre 270 morti. Ouagadougou ha subìto tre attacchi, con circa 60 morti. Come abbiamo scritto, di Luca Tacchetto ed Edith Blais, non si hanno più notizie dal 16 dicembre scorso.

L’italiano e la sua amica canadese avevano raggiunto il Burkina Faso in macchina – partendo dall’Italia - dopo aver attraversato la Mauritania e il Mali, per poi raggiungere il Togo. Erano diretti a Kpalimé, una cittadina del Togo, dove avrebbero dovuto unirsi a un’Organizzazione non governativa legata all’ambiente. Di loro non si sa nulla, un mese senza alcuna notizia.

L’ultima volta sono stati visti nella città del sud-ovest del paese, Bobo Dioulassou. E a raccontarlo è stato il cittadino francese Robert Guilloteau, che li ha ospitati a casa sua il 15 dicembre 2018. I due giovani sono ripartiti la mattina del 16 dicembre e sarebbero stati diretti alla moschea di Bobo Dioullasou.

Da lì sarebbero ripartiti per la capitale del Burkina Faso, sempre secondo il racconto del francese, dove avrebbero dovuto fare dei visti regolari e quelli per il Togo e il Benin. Il loro durava solo tre giorni. Da lì più nulla.

L’ambasciata italiana in Costa d’Avorio, competente anche il Burkina Faso, sta seguendo con la massima attenzione e riserbo il caso. Molte le ipotesi, che rimangono solo suggestioni. Non si esclude nulla. Potrebbero essere stati rapiti da gruppi terroristici, che infestano tutta la sub-regione, oppure da criminali comuni. Ma nessuna rivendicazione è arrivata.

I gruppi jihadisti, inoltre, hanno interesse ad attirare l’attenzione internazionale. Che non sia arrivata nessuna rivendicazione è un fatto molto strano. Ma non è arrivata, nemmeno, una richiesta di riscatto da parte di un gruppo di criminali comuni.

Anche questo risulta essere improbabile. La vicenda, quindi, è avvolta dal mistero. Il viaggio intrapreso dai due giovani ha toccato aree del continente africano molto pericolose.

Tutta la fascia del Sahel, cioè dalla Mauritania al Mali, dal Niger al Ciad, compreso il Burkina Faso, è un’area di presenza terroristica e di continuo fl usso migratorio dalla fascia sub-sahariana dell’Africa verso, appunto, il Sahel.

Tra Niger, Mali e Burkina Faso sono 6 le persone nelle mani dei jihadisti, tra le quali anche il missionario italiano Luigi Maccalli, rapito in Niger il 17 settembre 2018.

Il Burkina Faso, che è rimasto a lungo immune da fenomeni terroristici, negli ultimi anni è diventato un paese a rischio e pericoloso dove si sono susseguiti numerosi attentati per mano di jihadisti.

La pericolosità del Paese, che sembrava essere “relegata” al Nord del Paese, negli ultimi mesi si è estesa anche in altre regioni, comprese quelle dell’est, proprio al confine con il Togo e il Mali.

Non è un caso che l’Assemblea nazionale del Burkina Faso abbia prolungato lo stato d’emergenza, proclamato dal presidente Roch Marc Kaboré lo scorso 31 dicembre, per altri 6 mesi.

Motivando la dichiarazione dello stato di emergenza, il presidente ha spiegato: “Riteniamo molto insicure le regioni nel nord come quelle meridionali al confi ne con Togo e Benin. I nostri soldati non riescono ancora a gestire il raggio d’azione dei militanti islamici che sta diventando sempre più grande”.

Lo stato d’emergenza riguarda 14 provincie su 45, ripartite in sei regioni che hanno registrato attacchi terroristici. L’ultimo dei quali, è avvenuto lo scorso 10 gennaio a Gasseliki, villaggio della regione del Sahel.

E proprio in seguito a questo atto di guerra, che ha fatto numerose vittime tra i civili, il capo di stato maggiore dell’esercito è stato licenziato dal presidente burkinabé.

Le incursioni jihadiste, che fino a qualche mese fa hanno riguardato il Nord del Paese si sono estese anche alle zone confinanti con il Togo e il Benin.

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