L’unico luogo al mondo privo di ratti?
È l’Alberta

di corriere canadese del 16 October 2018

di Carlo Cantisani

TORONTO - La specie più comune di ratto, il ratto grigio, si trova ovunque nel mondo, nelle grandi e piccole città, in campagna, nelle fogne, sui continenti e sulle isole di varie dimensioni. Per ovvie ragioni non sono presenti al polo nord e al polo sud, ma se si soffre di un’acuta musofobia (la paura dei topi e dei roditori in generale) non c’è bisogno di stabilirsi in queste regioni dal clima proibitivo: basta recarsi in Alberta. La provincia del nord-ovest canadese è, infatti, l’unico posto al mondo, tra quelli dove i ratti grigi potrebbero tranquillamente prosperare, ad essere completamente priva di questi comuni roditori. “Completamente priva” non vuol dire però che non ci siano in maniera assoluta: vuol dire che i topi non riescono a proliferare, e che quindi non sono presenti una femmina e un maschio che possono dar vita ad una colonia che può arrivare a contare migliaia di ratti.

Se varie zone del pianeta devono fare quotidianamente i conti con i ratti grigi – responsabili della distruzione di un quinto delle coltivazioni mondiali, oltre che della diffusione di malattie – l’Alberta è stata, ed è attualmente, l’unico vincitore nella secolare lotta dell’uomo contro questo roditore. E questo l’obiettivo, che impegna il governo e la popolazione dell’intera provincia da quasi settant’anni, non è stato certamente semplice.

I ratti grigi sono animali particolari, che vivono quasi esclusivamente presso gli insediamenti umani e riuscendo a sopravvivere anche a climi abbastanza rigidi, come appunto quello in Alberta. Sono classificati come Rattus Norvegicus, pur non proveniendo affatto dalla Norvegia: il nome deriva dal naturalista John Berkenhout, che imputò il loro arrivo nel Regno Unito alle navi commerciali norvegesi.

Da qui, i ratti grigi raggiunsero le coste dell’America del Nord all’incirca verso la fine del Diciassettesimo secolo, diffondendosi man mano in tutto il continente...

<secolo, diffondendosi man mano in tutto il continente, lì dove appunto iniziarono a comparire i primi insediamenti umani e, con questi, i campi coltivati.

I roditori giunsero nella provincia del Saskatchewan solo nel secolo scorso, e, quando nel 1950 furono avvistati i primi ratti in Alberta, i governatori della provincia capirono subito che gli animali provenivano esclusivamente dai loro vicini ad est, in quanto a nord c’erano foreste dal clima molto freddo, a ovest ci sono le Montagne Rocciose e a sud zone aride. All’epoca si contarono trenta colonie di ratti grigi, ancora fuori dai centri abitati dell’Alberta, fattore che giocò a favore della lotta che da quel momento in poi la provincia canadese avrebbe intrapreso contro quegli animali dal pelo grigio-marrone e dai lunghi baffi.

L’Alberta, nota per le sue grandi coltivazioni, impiegò ingenti risorse per finanziare la sua campagna contro i topi e, soprattutto, riuscì a sensibilizzare la popolazione sul problema prima che fosse troppo tardi. L’azione del governo si concentrò sul confine col Saskatchewan, monitorando una lunghissima striscia di territorio larga circa 29 chilometri e lunga 600, che dal Montana arrivava – e arriva tuttora - sino alle foreste del nord e che ad oggi conta sulle tremila fattorie. Agli albori della lotta contro i ratti negli anni ’50 venne esteso e potenziato l’Agricultural Pest Act del 1942, che dava al ministero dell’Agricoltura il potere di definire “parassita” ogni animale che danneggiava i raccolti. Fu deciso anche che parte dei fondi ministeriali sarebbero dovuti essere destinati alla lotta contro i topi, e che gli agricoltori e gli amministratori delle città al confine col Saskatchewan erano obbligati a prendere parte a questa lotta: non farlo poteva essere punito con multe e sanzioni, anche se non fu mai necessario, in quanto gli abitanti capirono subito l’importanza del problema.

Questo grazie soprattutto alla capillare azione di informazione messa in piedi dalla provincia: conferenze, libricini informativi e manifesti spiegavano come riconoscere un ratto e i rischi che l’animale poteva procurare, con toni che ricordavano da vicino la vera e propria propaganda di guerra (“Nessuno deve risparmiare una sola energia per la lotta al ratto norvegese”, diceva un poster) o quella utilizzata in quegli anni per insegnare alla popolazione come difendersi in caso di un attacco nucleare; si utilizzavano termini come “guerra” e “invasione”, così come “nemico” per designare i ratti.

Dal 1952 all’anno successivo vennero impiegati 63mila chili di triossido di arsenico come disinfestante in 2.700 fattorie, una media 24 chili a fattoria, mentre da metà del decennio si usò il warfarin, un farmaco anticoagulante meno costoso dell’arsenico ed anche meno pericoloso per gli altri animali delle fattorie.

Se nel 1959 furono individuate 600 colonie di ratti, solo quattro anni più tardi queste risultarono dimezzate, arrivando alla cifra di 150 nel 1980, di 30 nel 1990 e solo 10 nel 2000. Come riportato dal ministero dell’Agricoltura, il primo anno in cui non fu registrata alcuna infestazione fu il 2003.

Attualmente, il governo dell’Alberta continua costantemente a monitorare la situazione, controllando la zona di confine con il Saskatchewan e vietando ai cittadini di possedere un ratto come animale di compagnia, pena una multa di cinquemila dollari (a parte zoo, università e laboratori di ricerca).

Sul sito del ministero dell’Agricoltura sono riportate numerose informazioni su come riconoscere i ratti e i segni della loro presenza; è stato anche istituito nel 2014 un numero speciale per segnalare eventuali avvistamenti, che la maggior parte delle volte, complice il non averli mai visti o una certa “ratto fobia” dilagante, si rivelano essere scoiattoli o altri piccoli animali. E’ stata istituita anche una rat patrol, una pattuglia di otto membri che ispeziona l’area di controllo e che, con 10 tonnellate di veleno ed armi alla mano, hanno il compito di uccidere eventuali ratti. Ne ha raccontato il The Globe And Mail nel 2015, scrivendo che “quando si tratta di ratti, l’Alberta non fa prigionieri".

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