La scomparsa di Stefano Benni / Umorismo anarchico e feroce contro le ingiustizie e il potere
BOLOGNA – Addio a Stefano Benni. Lo scrittore, giornalista, poeta e sceneggiatore tra i più originali e amati della narrativa italiana contemporanea, è deceduto a Bologna, città dove era nato il 12 agosto 1947: aveva 78 anni. Qui di seguito, un suo ritratto, pubblicato oggi sul Corriere Canadese, a firma del direttore Francesco Veronesi.
TORONTO – Stefano Benni provava una sorta di repulsione allergica verso la strafottenza del potere, le ingiustizie, le ineguaglianze della nostra società e soprattutto verso la rassegnazione di chi abbassava la testa e rinunciava a ribellarsi. Perché nella sua visione del mondo, accettare lo status quo equivaleva a legittimare chi stringeva le catene dell’oppressione, dove vittime e carnefici del tritacarne sociale vivevano – e vivono – in simbiosi. E per combattere questo livello di degrado civile utilizzava l’unica arma che aveva a disposizione: un umorismo anarchico e feroce, che non risparmiava nessuno. Nei suoi romanzi la costante è il risveglio dell’essere umano dal letargo – o “rincoglionimento”, termine più adatto – soporifero dell’accettazione dei mali dell’esistenza. Non ci sono sfumature nelle sue opere, non ci sono vie di mezzo: i buoni sono buoni, i cattivi sono cattivi, e la scelta di campo è sempre definitiva. A Benni non bastava la scrittura per esternare questa sua esigenza: ecco allora le sue scorazzate strafottenti nella musica, nel cinema, nei progetti pedagogici. Dove l’elemento della provocazione non era mai fine a se stesso, ma aveva un obiettivo ben preciso, e molto più alto: far pensare.
Con la sua scomparsa perdiamo una voce libera, sui generis, scomoda, brutale, spietata, molto spesso crudele. Che ci costringeva però, di fronte a ogni singola pagina delle sue opere, a fare i conti con noi stessi, mettendo a nudo le nostre paure, la nostra inadeguatezza, le nostre contraddizioni irrisolte. Perché è impossibile, nella lettura dei suoi romanzi, non immedesimarsi nei personaggi assurdi e improbabili che danno vita a un flusso narrativo mai scontato, mai banale, mai prevedibile. Nell’analisi lucida e tremenda della nostra moribonda società occidentale, dove i valori umani sono stati messi da parte e dimenticati, Benni ci ha fatto capire che esiste una via d’uscita, che ci sono possibili percorsi che possono in qualche modo portare alla salvezza, personale in primo luogo, e che questa può anche diventare collettiva. Non si tratta di un’utopia, si tratta di assumersi le proprie responsabilità. Altrimenti, continueremo a vivere nel tetro scenario dipinto dalle poche parole d’introduzione a Elianto: «Ci fu una grande battaglia di idee e alla fine non ci furono né vincitori, né vinti, né idee».
