Canada

La corsa al riarmo rappresenta un segnale preoccupante

TORONTO – Il Canada, come quasi tutti gli altri alleati della Nato, ha quindi fatto una scelta di campo. Entro il 2025 il nostro Paese destinerà il 5 per cento del proprio Prodotto interno lordo alla Difesa, un livello di spesa mai raggiunto dal nostro Paese dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Secondo i calcoli presentati mercoledì dal primo ministro Mark Carney – calcoli ancora approssimativi, come ha ammesso lo stesso leader liberale – alla scadenza della deadline stabilita nel vertice Nato de L’A’ja, il Canada spenderà circa 150 miliardi di dollari all’anno per la sicurezza, un investimento monstre che inevitabilmente toglierà risorse da altri settori. Anche perché sono solo due le strade da percorrere per mantenere la promessa fatta dal primo ministro nel Summit dell’Alleanza Atlantica: andare a tagliare la spesa pubblica per liberale le risorse necessarie, o sottrarre la spesa ad altri programmi.

Certo, ha sottolineato lo stesso Carney, esiste anche la scappatoia della divisione delle spese, che si traduce con un investimento effettivo nella Difesa del 3,5 per cento del Pil, con il restante 1,5 per cento che potrà tradursi in spese collaterali nelle infrastrutture – porti, aeroporti, strade, ponti e così via – che si possono considerare aspetti complementari delle spese militari vere e propri. Soldi questi – ha sottolineato il primo ministro – che il nostro Paese aveva già messo in programma di spendere o che addirittura sta già investendo. In ogni caso è evidente che il fattore Trump ha pesato in modo significativo in questa inversione di rotta in seno all’alleanza: nel giro di pochi mesi siamo passati da un sostanziale immobilismo dei governi dei Paesi membri verso i continui richiami alla necessità di ampliare la spesa militare, a una vera e propria corsa al riarmo che ha spostato gli obiettivi dal 3 per cento al 5 per cento nei prossimi 10 anni.

Tra tutti gli alleati, solo il governo spagnolo si è rifiutato di assumersi l’impegno, beccandosi le minacce dell’inquilino della Casa Bianca su un ipotetico – e probabile – aumento dei dazi doganali.

La domanda da farsi, semmai, è se sia davvero necessario aumentare in modo smisurato le spese per la Difesa in un Paese come il Canada, dove la Sanità è sull’orlo del collasso, il sistema scolastico fa acqua da tutte le parti, i programmi sociali e di welfare nono sono in grado di creare una rete di sicurezza per le fasce più deboli e le disuguaglianze economiche sono ai massimi storici. La seconda domanda riguarda il perché ci sia questa necessità: esistono davvero delle minacce concrete per la nostra sicurezza che ci spingono ad assumere impegni così onerosi? O si vuole semplicemente assecondare un capriccio di un presidente americano che tra tre anni sarà solo un lontano ricordo?

La corsa al riarmo delle economie occidentali rappresenta un segnale quanto meno inquietante, specialmente in una fase dove le nuove tecnologie militari – vedi l’utilizzo dei droni, come sta avvenendo nel conflitto tra Russia e Ucraina – hanno decretato l’abbassamento dei costi rispetto a pochi anni fa. A inquadrare la situazione sono arrivate ieri le parole di Papa Prevost, che ha lanciato un appello contro la corsa agli armamenti e un duro monito verso quei Paesi che continuano a considerare la guerra come il principale strumento di risoluzione delle controversie.

Servono meno armi – ha detto – serve invece più buona volontà per trovare altre vie che garantiscano la pace. Parole, quelle del Pontefice, che rimangono largamente inascoltate.

In alto, Mark Carney con i ministri Dominic LeBlanc e François-Philippe Champagne

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