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La Caporetto del Pd,
disfatta politica che mette
in crisi l’identità del partito

TORONTO – Una catastrofe politica senza precedenti, una Caporetto elettorale che lascia solo macerie e grandi incognite per il futuro. Il Partito Democratico è il grande sconfitto di questa tornata elettorale. Lo striminzito 19 per cento racimolato alle urne non rappresenta a dovere la magnitudine della batosta, un fallimento – programmatico, strategico e di posizionamento politico – che mette in crisi l’intera impalcatura identitaria del partito. Per capire l’entità del tracollo bisogna andare a vedere i risultati nei 147 collegi uninominali della Camera, dove il Pd è riuscito a conquistare appena 7 seggi, 3 in Emilia-Romagna, 2 in Toscana e 2 nel Lazio.

Il resto è andato alla coalizione di centrodestra e al Movimento Cinque Stelle. Su scala regionale, la cartina dell’Italia ha voltato le spalle a Enrico Letta: 19 regioni hanno visto la netta vittoria dell’alleanza Fdi-Lega-Fi, mentre la Campania ha votato in larga maggioranza per i Cinque Stelle. Il centrodestra non solo ha stravinto nelle regioni dove era maggiormente radicato – Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria – ma ha fatto l’en plein anche nelle ormai defunte regioni rosse, dall’Umbria alla Toscana, passando per l’Emilia Romagna e la Puglia.

Non siamo di fronte a una crisi temporanea, ma un progressivo allontanamento dell’elettorato italiano dall’offerta politica del Pd. Sembra passato un secolo da quando il Partito democratico conquistava il 40 per cento delle preferenze alle Europee del 2014. Negli anni la base elettorale del Pd si è ristretta, passando dai 12 milioni di voti del 2008 agli 8,6 milioni del 2013, ai 6,1 milioni del 2018 per finire con i 5,3 milioni di questa tornata elettorale.

È del tutto evidente che il Pd, negli anni, ha perduto una buona fetta del suo elettorato storico, nelle periferie – come aveva ammesso lo stesso Letta alla vigilia del voto – e nelle fasce meno abbienti. Un dato, che ha del clamoroso ma che conferma il precario stato di salute del centrosinistra italiano, è quello relativo al voto degli operai: ebbene, secondo un sondaggio dello scorsa settimana, il Pd in questa fetta della società italiana è appena la quarta forza politica, superata da Fratelli d’Italia, Lega e Movimento Cinque Stelle.

Questo dato lascia ben capire che siamo di fronte a una crisi identitaria, a una sinistra non più capace di dialogare e di raccogliere le istanze di quelle fasce sociali che dovrebbe rappresentare.

C’è stato un progressivo sbilanciamento, da un punto di vista programmatico, nelle priorità politiche del partito: troppa enfasi nella promozione dei diritti civili – importanti, ma che riguardano realtà marginali della società italiana – rispetto ai diritti sociali: dal lavoro ai salari, dalla giustizia sociale alla difesa delle classi meno abbienti. Tutte tematiche queste raccolte da Giorgia Meloni e – in parte – da Giuseppe Conte.
La frantumazione della galassia della sinistra italiana ha fatto il resto, complice anche la comprovata incapacità della classe dirigente del Partito Democratico di diventare l’attore centrale di un tentativo di riallacciare i rapporti con i transfughi e con i nuovi partiti nati dalle continue scissioni interne promosse dai leader sconfitti, Pierluigi Bersani prima e Matteo Renzi poi.

E qui si entra nella miopia politica e strategica che ha creato le basi della batosta di domenica: il Pd ha gettato al vento l’unica vera possibilità di arginare il centrodestra, quella cioè di farsi promotore di un’alleanza elettorale con il Movimento Cinque Stelle e con Azione-Italia Viva.

I tira e molla pre voto, la rottura prima con Conte e poi con il duo Renzi-Calenda ha determinato non solo l’esito delle elezioni, ma anche le proporzioni della disfatta elettorale.

E ora? Letta, che è un gentiluomo, ha immediatamente preso atto del responso delle urne, ha indetto il congresso e ha confermato la sua intenzione a non ricandidarsi.

Ma basterà l’ennesimo congresso, con la prevedibile faida e il probabile regolamento di conti tra correnti, a restituire alla politica italiana un partito di centrosinistra capace di proporsi come futura alternativa di governo?

Oppure sarà necessario un ripensamento identitario generalizzato, per il lancio di un diverso soggetto che volti pagina dall’esperienza del Pd e avvii una nuova stagione politica che coinvolga tutte le forze di centrosinistra, così come fette della società e del mondo produttivo che non sono state coinvolte negli ultimi anni?

Presto per dirlo. Per ora, il Pd si lecca le ferite.

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