TORONTO – Durante la serata di apertura dell’ICFF è stato proiettato il film drammatico in costume di Saverio Costanzo “Finalmente l’alba”, uno dei sette film italiani in gara all’80° Festival del Cinema di Venezia. La sua tipica nostalgia italiana e il romanticismo tragico erano perfettamente avvolti dall’estetica storica del Distillery District. Centinaia di luci sospese scintillavano come stelle sulla piazza principale del Distillery, emettendo una tenue luminosità nell’ambiente, perfetta per il cielo coperto della sera. Per di più, gli organizzatori del Festival hanno iniettato un po’ di stravaganza nell’esperienza assumendo fotografi vestiti da paparazzi degli anni ’50, che hanno assalito con umorismo gli spettatori mentre si aggiravano nel sito storico. I partecipanti al festival hanno passeggiato per i vicoli ciottolati accolti da artisti di strada ispirati a Fellini e dal persistente aroma dei cibi dolci e salati italiani. Un film in piazza, con tanto di popcorn servito in contenitori Barilla e l’aroma del cioccolato fuso, è stato il modo perfetto per prepararsi alla serata di apertura.
Oltre all’atmosfera del Festival, è stato il film a brillare di più. “Finalmente l’alba” di Costanzo offre una rappresentazione onesta e a volte disagevole del raggiungimento della maggiore età di una giovane donna. La storia segue Mimosa (Rebecca Antonaci) dagli occhi pieni di stelle, che accompagna la sorella a un provino cinematografico negli studi di Cinecittà. Per un colpo di fortuna o del destino, e forse sono la stessa cosa, viene inaspettatamente scelta per sostituire una comparsa sul set. Ma la vera odissea di Mimosa inizia dopo le riprese del giorno, quando viene presa dalla diva del film, Josephine Esperanza (Lily James), e portata in una notte indimenticabile, piena di una malsana dose di scherzi e di eccessi hollywoodiani. L’ingenuità e la barriera linguistica di Mimosa la rendono un bersaglio facile per i lupi dell’industria, mentre cerca di eludere le tane altezzose ed edonistiche, che spuntano come erbacce a ogni angolo. Ciò che normalmente sarebbe allettante per un giovane attore alle prime armi diventa inevitabilmente ripugnante quando la bestia di Hollywood le mostra il suo lato oscuro.
Le prime recensioni del film sono state contrastanti, con alcuni critici che hanno definito la sceneggiatura “didattica” o il personaggio di Mimosa “poco avvincente”. Ma in un’epoca in cui i critici cinematografici sono sempre più pressati a promuovere le ideologie del momento a scapito di una recensione onesta, il pubblico viene scoraggiato dal guardare film eccellenti come “Finalmente l’alba”. Ma perché? È perché riflette un’industria com’era negli anni ’50, imperfezioni e tutto il resto, con personaggi femminili che non sono scritti come portavoce delle idee politiche di qualcuno? Forse.
Sarà un film imperfetto? Alcuni potrebbero dirlo. Ma l’imperfezione non rende un film inguardabile e nel caso dell’ultimo di Costanzo, lo considererei “un must”. L’interpretazione di Antonaci (nella foto sopra) è splendidamente misurata e a tratti brillante, senza mai tradire l’epoca né esagerarla. Per coloro che hanno difficoltà con i costumi del passato, il finale del film suggerisce abilmente che un cambiamento è nell’aria, o come dice Costanzo, “Immagino che la fine del film sia oggi”. Potrebbe essere così, ma per due ore e venti minuti, “Finalmente l’alba” ci trasporta in un’epoca di Hollywood [sul Tevere], che era sia impressionante che in contrasto con se stessa, piena di ogni tipo di contraddizione umana che, piaccia o no, rimane oggi. Alcuni di noi la chiamano semplicemente: l’esperienza umana.
Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix