Il Canada chiude le porte a persone ricche di talento, istruite e con esperienza

di Francesco Veronesi del 5 November 2019

TORONTO - Continua l’esodo di massa di giovani dall’Italia.

L’ulteriore conferma è arrivata ieri dal Rapporto Svimez che scatta un’istantanea precisa e articolata sulla fuga degli italiani che non è circoscritta al Mezzogiorno, ma che interessa anche le regioni del Nord e del Centro Italia.

Dal 2013, da quando abbiamo iniziato la nostra lunga inchiesta sull’immigrazione, abbiamo mantenuto una linea ben precisa di fronte al fenomeno che riguardava il Belpaese e il conseguente atteggiamento del Canada: i giovani italiani per varie ragioni - il lavoro in primis - ogni anno cercano di costruirsi una vita all’estero e il governo canadese ha l’occasione di poter fare tesoro di abilità e talenti, esperienze professionali che arricchirebbero il Paese.

In questi sei anni è cambiato il partito al potere, abbiamo avuto due diversi primi ministri - Stephen Harper e Juastin Trudeau - e quattro ministri dell’Immigrazione (Jason Kenney, Chris Alexander, John McCallum e Ahmed Hussen) ma allo stesso tempo non c’è mai stato un momento di reale rottura nelle politiche migratorie del Paese, ma una sconfortante continuità.

Anno dopo anno abbiamo fornito ai nostri lettori i dati comparati dell’Istat, del ministero dell’Immigrazione canadese, del Rapporto Migrantes: tutti numeri e statistiche che hanno confermato un progressivo indebolimento del flusso migratorio dall’Italia al Canada. E ci siamo anche chiesti il perché. La risposta non è piaciuta nelle stanze del potere.

Memorabile fu una conferenza stampa organizzata nella primavera del 2014 al Columbus Centre alla quale presero la parola gli allora ministri Jason Kenney, Julian Fantino e Joe Oliver per confutare i dati sull’immigrazione pubblicati sul Corriere Canadese. Fornendo dei numeri - e anche questo lo abbiamo documentato - completamente sballati, come certificato dai documenti richiesti dal Corriere e ottenuti dal ministero dell’Immigrazione.

Il vero problema è la presenza di un sistema dell’immigrazione che nella sostanza penalizza chi arriva da determinate aree geografiche: l’Italia, il Portogallo e più in generale l’Europa mediterranea.

Il cervellotico sistema a punti dell’Express Entry, il peso della conoscenze linguistiche sminuiscono le competenze professionali delle quali il mercato del lavoro canadese ha un disperato bisogno.

La scorsa settimana abbiamo pubblicato i numeri del Rapporto Migrantes 2019, secondo il quale nel 2018 oltre 128mila italiani sono andati a vivere all’estero. Di questi, solo 1.702 sono arrivati in Canada. Gli altri hanno optato per altre mete.

Certo, si dirà, per un italiano è più facile e conveniente emigrare in un Paese europeo e questo spiega il fatto che le tre mete preferite siano state la Gran Bretagna, la Germania e la Francia. Ma questo non spiega perché oltre 11mila italiani hanno deciso di andare a vivere in Brasile, oltre 6mila negli Stati Uniti, 4.300 in Argentina e addirittura 2.758 in Australia, che si trova davvero dall’altra parte del mondo.

Dobbiamo chiederci se il Canada abbia perso il suo appeal tra gli italiani o se gli altri Paesi abbiano invece attivato un sistema di accoglienza e integrazione più flessibile e omogeneo, che non crea corsie preferenziali a seconda del Paese di provenienza ma che invece su basa solamente su due criteri: quello meritocratico e le esigenze del mercato lavorativo interno.

Su questo il Canada ne deve fare ancora molta di strada.

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