Un dibattito che non farà cambiare idea agli elettori

di Francesco Veronesi del 9 October 2019

TORONTO - Diciamocela tutta. Difficilmente il dibattito di lunedì sera produrrà esodi elettorali biblici da un partito all’altro.

Il format di quello che era stato descritto come l’evento chiave della campagna elettorale non ha favorito un confronto civile, ragionato e maturo sulle principali tematiche che stanno a cuore agli elettori canadesi chiamati alle urne il 21 ottobre.

I grandi protagonisti sono stati i leader dei partiti minori - Yves-François Blanchet del Bloc, Maxime Bernier del People’s Party ed Elizabeth May del Green Party - che hanno sapientemente sfruttato il palcoscenico nazionale per accattivarsi gli elettori potenziali, facendo tesoro del principio - quantomeno discutibile - secondo il quale in un dibattito di questo tipo debba esserci uguale spazio per chi raccoglie milioni di voti e chi a fatica riesce a raggiungere il 2-3 per cento dei consensi.

Tutto questo ha fatto il gioco di Justin Trudeau, che obiettivamente ha avuto una buona serata.

Di solito in questi dibattiti il primo ministro uscente diventa il bersaglio del fuoco incrociato di tutti gli altri leader. Lunedì sera, invece, il primo ministro uscente si è dovuto difendere solo dagli attacchi, blandi, di Andrew Scheer e di Jagmeet Singh, senza mai essere davvero in difficoltà, aiutato probabilmente dalla pochezza degli avversari.

Bernier e Blanchet hanno invece concentrato i loro attacchi sul leader conservatore, con il primo che si propone di dividere l’elettorato della destra in una riproposizione fuori tempo massimo della corsa alla leadership conservatrice.

Non ci riuscirà, ma andrà a rosicchiare qualche punto percentuale in tutti i distretti, una dinamica elettorale che potrebbe essere fatale per le aspirazioni di Scheer di vincere e formare un governo di maggioranza.

Blanchet ha avuto vita abbastanza facile nel presentare e ribadire la sua unica tesi di fondo: sono qui a difendere gli interessi del Quebec, che non è una provincia ma è una Nazione con gli stessi diritti del Canada.

Come abbiamo accennato, Trudeau deve ringraziare i suoi principali avversari per aver trascorso una serata abbastanza tranquilla. Ha difeso con forza i risultati del suo governo - classico copione dei primi ministri uscenti - e ha giocato la carta della necessità di fare meglio e di più nella prossima legislatura.

Scheer ha rispolverato a ripetizione gli slogan con i quali sta martellando l’elettorato in questa campagna elettorale. C’è da chiedersi se sia stata una scelta intelligente - in fondo a Doug Ford è andata benissimo nel voto provinciale del 2018 - o se invece sarebbe stato più efficace presentarsi in modo chiaro come l’unica reale alternativa al leader liberale, con un programma elettorale specifico e completo da contrapporre a quello del primo ministro uscente.

Il problema è che a due settimane dal voto la piattaforma programmatica finale dei conservatori non è stata ancora ufficializzata e quindi si è scelta la scorciatoia dell’attacco personale, che magari può portare qualche voto in più ma che alla lunga difficilmente paga.

Anche Jagmeet Singh non ha saputo cogliere in pieno l’opportunità di mettere all’angolo il leader liberale. A metà del dibattito, alla quinta volta che ha ripetuto il suo mantra - “Trudeau parla bene ma alla prova dei fatti si è comportato come Harper”- ha perso l’occasione per dimostrare che i contenuti sono sempre più importanti dei talking points.

Con il dibattito di lunedì sera a nostro avviso è stata persa una preziosa occasione per fare chiarezza su alcuni temi fondamentali.

Gli unici a tracciare la linea sono stati Bernier, May e Blanchet. Il leader del People’s Party ha cercato di accendere la scintilla sovranista e ha detto chiaro e tondo che bisogna stravolgere immigrazione e multiculturalismo.

La leader dei Verdi ha spiegato che nel nostro Paese esiste un solo problema, la crisi climatica, mentre Blanchet ha ribadito che ai quebecchesi non interessano i problemi del Canada, ma quelli del Quebec. Idee che si possono condividere o meno: ma almeno si tratta di idee nette, chiare, senza compromessi.

In ogni caso, l’ultimo giudizio spetta agli elettori il 21 ottobre.

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