Il Cuoco risponde
alle domande dei lettori

di corriere canadese del 27 July 2022

TORONTO - Avete curiosità culinarie? Inviate le domande per e-mail ad Alex Ziccarelli (alex.cs1996@gmail.com): la risposta sarà pubblicata sul giornale e sul web (www.corriere.com).

La domanda di oggi ci viene posta da Paolo Mancini di Acilia, una borgata del Comune di Roma ma residente a Burlington, Ontario che ci chiede notizie storiche ed uso della pajata. Alla domanda del gentile lettore risponde lo Chef Alessio Di Felice, romano ma residente a Vancouver in British Columbia, il quale ci dice che con il termine pajata si indica la prima parte dell’intestino tenue dell’animale, quando ancora si alimenta esclusivamente con il latte. Ed il dettaglio più interessante di questa preparazione sta proprio qui, nel latte, che digerito diventa chimo e viene conservato al suo interno durante la preparazione. Il risultato è un gusto assolutamente caratteristico, semplicemente inconfondibile. Fa parte del quinto quarto con cui a Roma si intendono tutte le frattaglie e le interiora dell’animale. Si racconta che le parti più pregiate andassero ai nobili e, appunto, ai  contadini e coloro che lavoravano nei mattatoi rimanevano gli scarti, come, fra l’altro, la trippa, l’intestino (pajata), La coratella e la coda. La pajata viene saltata in padella con un filo d’olio extra-vergine e il classico soffritto con cipolla, carota e sedano, uno spicchio d’aglio e del peperoncino. Si rosolano delicatamente le interiora per una decina di minuti, sfumando quando la padella è rovente con del vino bianco. Solo a questo punto si aggiunge la passata, dove i piccoli bocconcini di intestino, insaporiti dal chimo che conservano al loro interno, continuano a cuocere per un paio d’ore. E, a questo punto, si possono condire dei rigatoni, un classico della cucina romana. In alternativa si può usare come secondo, basta cucinarla in umido, oppure arrosto con l’aggiunta di un po’ di strutto, o ancora alla brace, insaporita semplicemente con sale e pepe. Per molti anni questo piatto è stato osteggiato, magari ancora qualcuno si ricorda della famosa mucca pazza, ed è solo di recente che è stata reintrodotta la possibilità di usare questa parte del vitello, chimo compreso.

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