Il Commento

In un anno di Covid
abbiamo fatto pochi progressi

TORONTO – È passato un anno. A osservare. A imparare. A ripensarci. A chiedersi se qualcuno sapesse cosa stava succedendo. A chiederci se il nostro sistema o i nostri leader fossero strutturati e attrezzati per affrontare la crisi.

Sono trascorsi dodici mesi in questa pandemia e non sembra che abbiamo fatto molto progresso. Con le varianti covid-19 che apparentemente spuntano da ogni parte, saltiamo dall’allarmismo, alla paranoia, all’isteria. Ed è sempre colpa di qualcun altro. I nostri “leader” hanno sempre lo stesso messaggio: (1) stiamo lavorando sodo, (2) stiamo consultando gli esperti, (3) stiamo investendo in vaccini, (4) state lontani l’uno dall’altro.

Si ha la netta impressione che il nuovo ordine di governo sia l’identificazione delle crisi e non la gestione delle crisi.

Mi dispiace per i nostri leader. Quando le cose stavano migliorando, le conferenze stampa quotidiane sembravano trovare il giusto equilibrio tra “le fesserie” e un piano aggressivo verso la normalità, c’era un elemento di credibilità – tanto quanto basta per influenzare gli scettici.

E proprio quando sembra che stiamo girando l’angolo, “qualcosa / qualcuno” ci tira indietro. Sempre, c’è qualche “esperto” con la scienza a sostegno dell’ultima iniziativa. Solo che la scienza riguarda più la matematica… l’ultimo conteggio.

Siamo passati dal conteggio delle infezioni, alla tabulazione dei decessi, alla valutazione degli importi in dollari, all’investimento nei vaccini, al conteggio delle varianti. Siamo passati da nessuna mascherina, a mascherine se necessario, a mascherine tutto il tempo. Dai vaccini che possono funzionare, a quelli che funzionano solo dopo due o tre dosi, a quelli che non funzioneranno sulle varianti… oops, non esistevano tre settimane fa.

Forse la cosa peggiore, o così ci viene detto ora, il virus è stato inizialmente diffuso attraverso goccioline, quindi il distanziamento sociale, il mascheramento, i test e il tracciamento avevano senso. Ora sembra essere trasportato dall’aria, un aerosol. Una cosa è rimasta costante. I test e le relazioni sono stati eclettici da giurisdizione a giurisdizione, per cui le stime e i comparativi sono stati, nella migliore delle ipotesi, provvisori. Inoltre, e questo è triste per ovvie ragioni, ovunque il virus abbia colpito ha un tasso di mortalità particolarmente pesante su un segmento della nostra demografia: anziani con condizioni preesistenze stipati in case di cura a lunga degenza.

Rappresentano tra il 62% e il 75% di tutti i decessi in cui è implicato il virus Covid-19. Ma queste statistiche parlano più delle decisioni politiche prese per affrontare una questione di politica della sanità pubblica che della capacità della scienza di affrontare la sfida.

La matematica nel grafico qui in alto suggerisce che alcune delle previsioni “catastrofiste” basate sugli scenari peggiori possono essere un po’ eccessive e probabilmente favorevoli a problemi di ansia e salute mentale. Confrontando i decessi per milione di abitanti si nota che il tasso dell’Ontario è 1/3 quello del Portogallo, 1/3 quello dell’Italia e appena 1/4 quello del Regno Unito.

Il nostro giornale ha sempre predicato cautela, ma solo l’1,9 per cento della nostra popolazione contrae il virus e solo il 2,1 per cento di quel gruppo soccombe. Se questa percentuale aumenta, allora sì che avremo delle difficoltà.

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