Il paradosso: perdono tutti,
l’unico vincitore non riesce
ad entrare alla Camera

TORONTO – Tanti sconfitti, un unico vincitore che, paradossalmente, non riesce nemmeno a farsi eleggere e resta fuori dal parlamento. Sono questi i dati principali che emergono dalla consultazione elettorale di lunedì. I leader dei principali partiti in corsa hanno fallito miseramente i loro obiettivi principali, mentre gli equilibri parlamentari tra le forze politiche rimangono praticamente immutati.

Justin Trudeau. Avremo quindi un nuovo governo di minoranza liberale. Visti i sondaggi delle ultime settimane, il risultato del leader grit può essere giudicato positivamente. Non dobbiamo dimenticarci, però, che queste elezioni sono state volute fortemente dallo stesso Trudeau con l’obiettivo dichiarato di ricevere un forte mandato dagli elettori e vincere quindi la maggioranza assoluta dei seggi. Quota 170 è invece rimasta una chimera e il primo ministro si ritrova con la stessa identica forza parlamentare che aveva nella precedente legislatura.

Erin O’Toole. Per qualche settimana, durante la campagna elettorale, il leader conservatore ha accarezzato il sogno non solo di vittoria ma anche di conquista della maggioranza assoluta. Eppure O’Toole non è stato in grado di capitalizzare le difficoltà del suo principale avversario, specialmente durante i due dibattiti tra i leader dove non ha impressionato. Il leader tory doveva ripartire dall’eredità ricevuta dal suo predecessore Andrew Scheer, che nel 2019 aveva conquistato 121 seggi: non solo non è avanzato, ma ha addirittura perso due deputati. In definitiva non ha pagato la decisione di O’Toole di spostare il partito verso il centro, puntando sull’elettorato moderato insoddisfatto del primo ministro uscente. Questa manovra discutibile non ha fatto altro che scontentare una fetta degli elettori conservatori, che hanno preferito optare per il People’s Party di Maxime Bernier.

Jagmeet Singh. Nessuna ondata arancione, come quella del 2011 con Jack Layton. Il leader neodemocratico non riesce a rosicchiare consenso tra i liberali progressisti: aveva 24 deputati, tornerà a Parliament Hill con 25. Nel partito ci sono dei problemi evidenti che non riguardano solo il leader ma anche il suo stretto entourage. Dopo due elezioni deludenti, forse sarebbe il caso di voltare pagina e ripartire da un nuovo leader. Thomas Mulcair, non dimentichiamocelo, venne silurato dopo aver vinto 44 seggi, quasi uguali alla somma di quelli vinti da Singh in due elezioni.

Annamie Paul. Non c’è due senza tre. La leader verde tenta per la terza volta di farsi eleggere in parlamento e fallisce miseramente, arrivando quarta nel suo distretto di Toronto Centre. Con la precedente leader Elizabeth May il Green Party nel 2019 aveva ricevuto quasi 1,2 milioni di voti: in questa tornata elettorale si è avuto un tracollo, con appena 370mila consensi. Dimissioni d’obbligo.

Maxime Bernier. E qui arriviamo alla chiusura del cerchio del grande paradosso di queste elezioni: Bernier, unico vero vincitore, non riesce ad entrare in parlamento e non riesce nemmeno a conquistare un seggio in tutto il Paese. Eppure il peso dell’exploit del People’s Party rappresenta il dato più significativo di queste elezioni.

Il Ppc passa dai 294mila voti ricevuti due anni fa a 811mila voti: una crescita esponenziale, che ha avuto pesanti conseguenze anche sugli altri partiti. Perché è evidente che senza la spaccatura della destra in due tronconi, i conservatori avrebbero vinto questa tornata elettorale. Ed è evidente che in molti distretti i voti per il candidato del People’s Party siano stati decisivi per la sconfitta del candidato conservatore.

Nella foto in alto, Maxime Bernier (dal suo profilo Facebook)

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