Dal silenzio alla visibilità: i femminicidi in Italia e la sfida della giustizia
MONTREAL – Nel 2025, l’Italia continua a fare i conti con una delle sue ferite sociali più profonde: l’uccisione sistematica di donne per mano di uomini che, nella maggior parte dei casi, facevano parte della loro cerchia familiare o affettiva. Dall’inizio dell’anno, secondo l’Osservatorio di Non Una di Meno, sono già più di 70 le donne uccise per il solo fatto di essere donne. Martina Carbonaro, Giulia Cecchettin, Rossella Nappini, Clara Ceccarelli, Alice Scagni, Luciana Ronchi, Sofia Stefani, Pamela Genini… sono solo alcuni dei nomi che abbiamo imparato a conoscere attraverso le cronache. Dietro ognuno di essi, una vita spezzata, una storia interrotta, un’assenza che grida. In Italia, si registra in media un femminicidio ogni tre giorni. E purtroppo, la lista continua ad allungarsi.
Per troppo tempo, questi omicidi sono stati liquidati come “delitti passionali” o “casi isolati”, sminuiti come drammi privati senza valore collettivo. Oggi, grazie alle lotte femministe, quel silenzio è stato rotto: si parla finalmente di femminicidio, una parola che dà nome a un fenomeno strutturale, radicato nella cultura patriarcale. Ma dare un nome non basta.
Da Nord a Sud, le notizie si rincorrono: una ragazza accoltellata perché voleva lasciare il fidanzato, una madre uccisa a colpi di pistola davanti ai figli, giovani minorenni le cui vite sono brutalmente interrotte. Tutte accomunate da una stessa matrice: la violenza di genere. Il femminicidio è un fatto politico. È il sintomo più estremo di una società che ancora fatica a riconoscere la piena soggettività e libertà delle donne.
E se la parola è entrata nel vocabolario istituzionale e mediatico, le politiche concrete non sembrano aver fatto lo stesso passo in avanti.
Ma qualcosa si muove. Le piazze si riempiono. Le manifestazioni femministe sono sempre più partecipate. Il simbolo delle scarpe rosse, divenuto emblema visivo della protesta, fa ormai parte dell’immaginario collettivo. Sempre più donne (e uomini) chiedono giustizia, prevenzione, educazione. Tuttavia, la risposta delle istituzioni non è all’altezza.
I centri antiviolenza sono spesso sottofinanziati. Le denunce vengono archiviate o ignorate. Le misure cautelari non sono tempestive. E nel dibattito politico, non mancano voci che provano a minimizzare, a spostare l’attenzione, a colpevolizzare le stesse vittime.
C’è poi un altro rischio: l’involuzione. Alcuni settori politici e mediatici tentano di appropriarsi della questione per scopi conservatori, invocando un ritorno alla “famiglia tradizionale”, responsabilizzando le famiglie o evocando l’esigenza di più controllo securitario. Ma il femminicidio non è una questione di ordine pubblico, è una questione politica, culturale e sociale. E deve essere trattato come tale.
Anche noi, che viviamo oltre oceano, siamo parte di questa realtà. Seguiamo con attenzione e preoccupazione ciò che accade in Italia, perché ci riguarda profondamente. La violenza di genere non conosce confini, e ci interroga ovunque ci troviamo.
Come comunità italo‑canadese, ci chiediamo: cosa possiamo fare? Come possiamo contribuire al cambiamento? Possiamo essere parte di una rete più ampia di solidarietà, di scambio, di apprendimento reciproco?
La risposta, crediamo, è sì. Dobbiamo costruire ponti, condividere buone pratiche, e soprattutto rimanere vigili e uniti — perché il contrasto alla violenza è una responsabilità collettiva, e una battaglia che attraversa tutte le società.
Perché ogni donna uccisa non è solo una tragedia privata. È un fallimento collettivo.
E oggi più che mai, abbiamo bisogno di soluzioni collettive. Non bastano più le promesse. Servono investimenti concreti, formazione nelle scuole, sensibilizzazione culturale, protezione reale.
Dare un nome alla violenza è stato un primo passo. Ora serve camminare. Insieme.
Amani Braa
Dottoranda all’Università di Montréal
Responsabile della ricerca sull’Europa presso il CÉRIUM (Centro di studi e ricerche internazionali)
Nella foto in alto: scarpette rosse in piazza contro la violenza sulle donne (foto Associazione Demetra Donne in Aiuto)

