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Annette, biografia reale
e fittizia di una donna
mai conosciuta

TORONTO – L’autore e saggista padovano Marco Malvestio (nella foto sopra) ha completato un post-dottorato nel dipartimento di italianistica all’università di Toronto nel 2020, passandone gli ultimi mesi nella morsa del primo lockdown. Nel 2021 è uscito il suo primo romanzo, Annette, scritto prima del COVID, un’esplorazione in chiave sperimentale dell’ossessione del narratore (che porta solo il nome dell’autore) per la pornostar tedesca Annette Schwarz, attiva fra il 2002 e il 2014. In quasi trecento pagine Malvestio ricostruisce, in parte immaginandola, la biografia personale e professionale di un personaggio reale ma al tempo stesso fittizio, una donna appena intravista, quasi percepita, più che conosciuta.

Da dove è nata l’idea di questo romanzo/saggio?
“Ho sempre avuto grande interesse per il porno, mi è sempre sembrato un genere che ha molto più da dire di quanto non siamo portati a pensare. Il porno è dappertutto, e informa il modo in cui noi, come società, pensiamo al sesso, e il modo in cui desideriamo. Volevo scrivere sulla pornografia (o meglio, sullo iato tra desiderio e realtà che la pornografia racchiude), e ho pensato che la storia di Annette Schwarz avrebbe potuto essere interessante per un racconto. È una vecchia storia, in fondo, quasi da Stil Novo – un uomo che si innamora di una donna che si inventa lui. Tuttavia, già dopo pochi giorni mi sono reso conto che questo racconto cresceva fuori misura, finché non è diventato un romanzo vero e proprio. In ogni caso, ho sempre avuto intenzione di procedere su tre livelli: la vita del narratore; la vita di Annette; e la vita di Annette inventata da lui”.

Perché non si tratta di una tradizionale biografia?
“Perché l’oggetto del mio racconto non è (solo) la protagonista, ma semmai lo spazio che la separa dal narratore. Non credo di avere le capacità e i mezzi per scrivere una biografia vera e propria, ma soprattutto a interessarmi era il rapporto che si creava tra il narratore e Annette, o meglio tra il narratore e l’assenza di Annette”.

La descrizione di questa “assenza”, o meglio di questa distanza fra narratore/spettatore e personaggio/attrice si rivela spesso difficile da colmare, cosa che il narratore ammette in svariate occasioni rivolgendosi direttamente al lettore. Perché questa onestà investigativa in un romanzo che è basato su un’indagine fondamentalmente immaginata?
“Proprio perché il lettore deve vedere il romanzo farsi per rendersi conto dell’incolmabilità di questa distanza. Se io mi fossi limitato a scrivere una storia lineare, tutta la tensione frustrata della ricerca si sarebbe persa, perché il lettore avrebbe visto un inseguimento, magari, ma non quel processo di raccolta di dati e di creazione che si ha invece grazie alla dimensione metafinzionale del libro”.

Il risultato è una prosa che si inceppa, torna indietro, si corregge, balza da un registro all’altro, palesando i suoi meccanismi retorici al lettore. Si potrebbe quasi parlare di un romanzo sperimentale con antenati illustri come Madame Bovary, per esempio, ma anche evocando il New Journalism americano. Quali sono i tuoi modelli stilistici, se ne hai?
“Non ho mai nemmeno osato pensare di riuscire a scrivere un romanzo sperimentale – ammesso che si possa ancora… Questo libro è influenzato effettivamente da Flaubert, forse quello dell’Educazione sentimentale più che da Madame Bovary; dalle storie di amore tossico di William T. Vollmann, che sfortunatamente resta un modello inarrivabile; dalle ruminazioni autofinzionali sul desiderio di Walter Siti; e dall’ossessione di Lolita. In generale, in termini proprio di struttura, il misto di fiction, non-fiction e autofiction viene da libri come Troppi paradisi di Siti”.

Il narratore è in parte basato sull’autore, almeno per certi dati biografici come età, occupazione, estrazione sociale, ecc. Perché non ti sei camuffato in un personaggio completamente fittizio?
“ Il narratore/protagonista non è basato sull’autore, ha solo lo stesso nome. Io non ho fatto nessuna delle cose che fa il mio protagonista. Anzi, ho fatto in modo che si potesse facilmente verificare che i nostri dettagli biografici sono diversi: nel romanzo si insiste molto sul fatto che lui lavora in Marsilio, ma già la quarta di copertina dice esplicitamente che io lavoro in università. Tuttavia, occorreva che il lettore cadesse nell’equivoco generato da questa coincidenza onomastica: così come quando guardiamo il porno siamo sempre portati a chiederci dove sia il confine tra la realtà del coito a cui assistiamo e la finzione della sua messa in scena, volevo che il mio lettore si interrogasse costantemente sul contenuto di verità autobiografica di quello che racconto. Poi certo, siamo entrambi maschi, padovani, più o meno intellettuali…”.

Per molti versi Annette non è solo un romanzo, ma è anche un saggio sulla sessualità di chi è cresciuto avendo immediato accesso alla pornografia. Il narratore si astiene dal formulare giudizi, ma il suo tono non è allegro e spensierato, ma piuttosto accigliato, se non addirittura triste. È una scelta intenzionale, o un effetto del soggetto stesso?
“C’è sempre un fondo di tristezza nel godimento, e a maggior ragione se questo è un godimento infinito e compulsivo come quello promesso, e tutto sommato garantito, dalla pornografia online. Più nel dettaglio, penso che in effetti l’amore impossibile che si delinea in Annette (quello per la diva irraggiungibile e allo stesso tempo per l’oggetto d’invenzione) sia un amore inevitabilmente frustrato, triste. Non ho mai inteso dare giudizi sulla pornografia (il mondo del porno ha le sue criticità, ma non più di altri settori), ma sicuramente il mio protagonista non ha un rapporto del tutto sereno con questa provincia dell’immaginazione”.

In certe istanze Annette si concede di prendere delle tangenti quasi accademiche, esplorando figure chiave della pornografia contemporanea, da Rocco Siffredi a Sasha Grey, citando articoli di riviste specialistiche e libri sull’argomento. Ci sono note a piè di pagina, fonti e riferimenti bibliografici. In queste pagine si rende visibile la singolarità dell’autore/ricercatore che non si accontenta di narrare, ma vuole sviscerare, spiegare, glossare. Perché hai scelto di rendere partecipe il lettore di questo processo che normalmente resta nascosto?
“Anche se è vero che la tendenza alla glossa è senz’altro una deformazione professionale, l’autore delle note e della bibliografia, anche nel testo, non sono io, ma il mio narratore: cioè, è chiaro che le ho scritte io, ma nella cornice del romanzo sono da attribuire a lui. Penso che fosse importante che ci fossero, perché servono a dare la dimensione della monomaniacalità e della precisione del protagonista/narratore: di un uomo che non si limita a fantastica, ma che vuole elucubrare, dissezionare, puntualizzare, e, tramite questo processo intellettuale, dominare e controllare la materia del suo racconto”.

Il tuo lavoro accademico tende a sviscerare il genere come concetto e categoria narrativa. Ti sei occupato di horror (Vecchi maestri e nuovi mostri. Tendenze e prospettive delle letteratura horror all’inizio del nuovo millennio, Mimesis, 2019), fantascienza (Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e antropocene, Nottetempo, 2021), di guerra (The Conflict Revisited: The Second World War in Post-Postmodern Fiction, Peter Lang, 2021), e prossimamente uscirà una curatela sul gotico (A Companion to the Italian Gothic, Edinburgh University Press). Che cos’è per te il genere? Cosa ti attrae a questo modo di vedere e categorizzare il mondo (reale e immaginario)?
“Diciamo che il mio è un interesse duplice. Mi interessano la natura formulare della letteratura e del cinema di genere, la ripresa di categorie e forme note, secondo griglie rigide, per dire cose nuove. L’horror, se uno ci pensa, è forse il genere meno creativo in assoluto: esistono delle regole narrative molto precise che si impongono sul procedere della trama, lo sviluppo dei personaggi, le ambientazioni… Eppure, l’horror è anche uno dei generi che più ha da dire su di noi. L’altra cosa che mi affascina è che queste forme (horror, fantascienza, e così via) sono anche prodotti intrinsecamente popolari: che permeano e disegnano, in altre parole, il nostro immaginario, in forza del loro essere diffuse ovunque. Ecco, per me queste due cose valgono anche per la pornografia, che è un genere formulare come pochi, in cui le coordinate del mondo sono disegnate solo ed esclusivamente con la finalità della copula; e che è un prodotto massicciamente popolare, anche se di una popolarità sommersa, oscena nel senso più letterale di “fuori dalla scena” di quanto possiamo discutere pubblicamente”.

Quali sono i tuoi prossimi progetti creativi?
“Ho lavorato a una storia di streghe che ora sta cercando un editore. Per il futuro, vorrei scrivere un libro sulla mia gatta, e uno su una santa contemporanea (d’invenzione). Vedremo”.

Alberto Zambenedetti

Associate Professor, Department of Italian Studies / Cinema Studies  – Institute Affiliate Faculty, School of Cities – University of Toronto

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