Settore edile e l’immigrazione: qualcosa deve cedere
Settore edile e l’immigrazione: qualcosa deve cedere
TORONTO – Forse c’è speranza. Sin da quando abbiamo pubblicato l’intervista con un prominente costruttore il 16 febbraio (“Costruttore canadese suona l’allarme”) una lunga scia di commenti che mettevano in dubbio i meriti delle politiche demografiche e immigratorie del Canada ha inondato la nostra redazione.
Il Corriere Canadese si è occupato di questo argomento da oltre tre anni. I suoi articoli ed editoriali sono stati accompagnati da dati, tabelle e grafiche elaborate da autorevoli fonti europee e canadesi – inclusi Statscan e il ministero della Cittadinanza e Immigrazione.
La scorsa settimana quest’ultimo dipartimento ha pubblicato i numeri totali dell’immigrazione e i Paesi di provenienza. Abbiamo convertito questi dati in un grafico che copre dieci anni per meglio illustrarne l’impatto.
I numeri sembrano confermare le affermazioni fatte sull’articolo del 16 febbraio: le politiche migratorie non rispondono ai bisogni di un settore industriale che ancora crea benessere e prosperità in Canada – l’industria delle costruzioni in Ontario.
Il settore ha bisogno di rimpiazzare una forza lavoro qualificata ma che sta invecchiando. E c’è una forte scarsità di lavoratori, soprattutto uomini – desiderosi e capaci di intraprendere una carriera che può basarsi su talenti fisici ma che è finanziariamente gratificante per coloro con voglia e con impegno.
Giovedì, ho accettato (su una base “off-the-record”) un invito a un incontro di rappresentanti sindacali e un certo numero di costruttori e subappaltatori preoccupati perché questa carenza potrebbe portare a dei ritardi nella consegna di progetti a contratto, far aumentare i prezzi, far partire una corsa ad accaparrarsi i lavoratori degli altri costruttori e cosi’ destabilizzare l’intero settore.
Un subappaltatore di media grandezza, un attivista comunitario e filantropo, ha protestato perché è stato costretto a fare proposte allettanti ad ex lavoratori qualificati ormai in pensione: “Il più giovane ha 69 anni, altri due ne hanno 72, venite a controllare i miei registri. Service Canada mi sta rendendo impossibile fare il mio reclutamento; i burocrati credono di conoscere le nostre esigenze meglio di noi”.
Tutti confusi sulle decisioni dei burocrati rispetto ai loro richiedenti. Si chiedevano se vi fosse una ragione dietro le politiche migratorie che hanno portato alla grafica pubblicata nella nostra edizione di giovedì scorso.
O perché la Provincia è incapace di addestrare i giovani per il loro settore e validare il loro lavoro e la loro dignità nello scegliere quella carriera.
Era una stanza egalitaria – gente di razze differenti con diversi background etnici – il cui cameratismo era nato dalle relazioni nei cantieri, attraverso la qualità del mestiere e la prestazione che considera il contributo del prossimo lavoratore per completare il lavoro in tempo. Ognuno ha bisogno del settore abitativo dei beni, dei prodotti e dei servizi ad esso associati.
Il Canada è un grande Paese. C’è spazio per tutti coloro che vogliono costruire e sviluppare una comunità. Ma un fatto della vita è che molti lavoratori che hanno intrapreso queste carriere tradizionalmente sono arrivati dal Sud e dall’Est dell’Europa.
Il ministero dell’Immigrazione negli ultimi dieci anni si è focalizzato su altre persone e altre abilità.
Nel vedere la tabella, l’espressione più comune è stata, “è per questo che non possiamo prendere persone preparate a lavorare in un cantiere?”.
In dieci anni, meno solo 4.233 , appena due decimi dell’uno percento, degli immigrati proveniva dall’Italia. Una percentuale marginalmente più alta, dal Portogallo (5.439 immigranti).
Il totale del numero dall’Est Europa (21.511) era circa l’equivalente di quello dalla Giamaica (22.693), la cui popolazione, nel 2016, era di 2.900.000. Notando quest’ultimo, si capisce perché che i responsabili del sindacato si potessero lamentare del fatto che il numero di lavoratori disponibili anche dalla Giamaica fosse in declino.
Ma il meeting non è servito solo per lamentarsi. Ognuno stava cercando dei suggerimenti su come mettere a posto il loro “problema economico”.
Il primo passo era di trovare qualche meccanismo per mantenere i lavoratori che già avevano, un passo che include anche quelli senza documenti – i “clandestini” s’intende, che pero’ stando sul cantiere perche essenziali alla conclusione dei progetti.
Secondo, avere il permesso di reclutare ed assumere i loro propri lavoratori da ovunque, visto che Immigration Canada sembra avere altre priorità che non coincidono con i bisogni dei costruttori.
Sul primo, c’è un progetto pilota per regolarizzare i circa 60mila lavoratori clandestini nel settore delle costruzioni nella GTHA. Per ora, è segreto.
Sembravano tutti d’accordo sul fatto che il governo deve prestare ascolto alle esigenze che arrivano da quel settore, oppure si assumera’ conseguenze delle politiche del suo predecessore.
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